domenica 30 agosto 2009

mai più senza amore

pubblicato sul settimanale Vera n°10 del 25/08/09


Il ragazzo senegalese chiedeva soldi. Era già da un po’ che Gianna, seduta ad un tavolino del bar, lo vedeva andare su è giù per il marciapiedi assolato. Alla terza volta che le passava di fianco gli fece un gran sorriso. Lui le si avvicinò allungando la mano aperta verso di lei.

«Un euro, per mangiare?»

«Siediti qui con me», le rispose Gianna indicando la sedia libera di fronte a sé. Il senegalese ricambiò il sorriso con uno sguardo interrogativo. Lei continuò: «Ti offro qualcosa».

Lui esitò un secondo, poi si sedette. Il cameriere, che aveva visto la scena, arrivò subito come se volesse dire qualcosa. Gianna, per paura che potesse obiettare il suo gesto non aspettò e ordinò subito: «Un cappuccio e una brioche per il signore».

«Subito», rispose il ragazzo, che fece dietro front senza nemmeno accennare ad un sorriso.

«Come ti chiami?», chiese Gianna al suo ospite. «Rasul», rispose lui con un lieve imbarazzo. «Bel nome, io sono Gianna».

«Anche il tuo è un bel nome, signora», disse lui mentre il cameriere posava la tazza e il piattino con la brioche sul tavolo. Gianna pagò per Rasul.

«Tutto bene?», chiese lei. «Sì signora, tutto bene». Lui addentò la brioche e Gianna non fece più domande. Lo guardava sorridendo. Poi ad un certo punto le cadde l’occhio sull’orologio e gli disse: «Stai qui seduto e finisci con calma, io devo andare a lavorare». Lui abbozzò un sorriso tra un sorso di cappuccio e l’altro. «Grazie», sussurrò solamente.

Gianna si allontanò pensando: «Se va tutto bene a lui, di che mi lamento io?».

Gianna arrivò in università in ritardo, gli studenti erano già tutti lì. Fece la sua lezione così come l’aveva in testa senza aver potuto preparare nulla prima. Andò bene lo stesso. Il caso aveva voluto che la sua collega si trasferisse all’estero lasciando nelle sue mani il progetto di drammaturgia teatrale elaborato insieme da portare avanti fino all’esame, lei ne era entusiasta e si era buttata sulla cosa con tutta la sua energia Si trovava bene con i suoi studenti e le piaceva molto stare tra i giovani perchè le dava un senso di leggerezza. In questo periodo della sua vita, dove si sentiva soffocare dagli eventi, ne aveva un gran bisogno. Aveva perso da poco entrambe i genitori in un incidente stradale e non aveva ancora superato pienamente il colpo che aveva accusato. In aggiunta, dopo vent’anni di matrimonio, cominciava ad avere la sensazione di non essere più innamorata di suo marito. Lui era una brava persona che le voleva un gran bene, ma ultimamente lei era arrivata a non sopportare più la sua presenza. Si sentiva fredda e distaccata senza avere un motivo così evidente. Aveva dato la colpa alla perdita che aveva appena subito, ma sotto sotto lei sentiva che c’era di più.

Alla fine della sua lezione s’incamminò verso l’uscita insieme ad alcune studentesse e rimase a chiacchierare alla fermata con una paio di loro mentre aspettava il bus per tornare a casa. Era così presa dalla conversazione che quasi lo perdeva. Non aveva tutta questa voglia di ritornarci, a casa. E Anche la sua distrazione sembrava quasi un modo per allontanare quel momento.

Salì sul tram, trovò un posto a sedere e il suo viso si rabbuiò. Fece tutta la strada verso casa cercando di allontanare i pensieri. Provava a concentrarsi sul suo progetto teatrale, ma le sue riflessioni la riportavano sempre a pensare che non voleva tornare a casa.

Entrò nel suo appartamento silenzioso e buio. «Bene, non è ancora arrivato», pensò con un sospiro di sollievo. Lasciò la borsa e le scarpe all’ingresso e scalza percorse tutta la casa ad aprire le persiane. La luce estiva entrò invadente ad illuminare il viso di Gianna e a far brillare i suoi grandi occhi azzurri, sempre splendenti, nonostante la malinconia di questi ultimi mesi. Fece un gran respiro e il profumo dei gelsomini che aveva in terrazza le riempì i polmoni.

Decise di farsi una doccia prima di cominciare a preparare la cena e si diresse verso il bagno. Sì spogliò, lasciando cadere i vestiti per terra. Mentre stava entrando sotto il getto d’acqua calda sentì sbattere la porta d’ingresso. Sobbalzò, ma continuò in quello che stava facendo, senza fermarsi.

Dopo un attimo sentì bussare alla porta del bagno. «Avanti», disse Gianna. La testa brizzolata e barbuta di Giorgio, suo marito, fece capolino sorridente dalla porta semiaperta. «Non avere fretta, ho una cena di lavoro. Sono tornato a casa per cambiarmi, ma esco subito». Lei rimase dietro la tenda della doccia, «Va bene», furono le uniche parole di Gianna, mentre si risciacquava lo shampoo dai capelli. Giorgio uscì di casa dopo soli pochi minuti. «Farò tardi, ciao», aggiunse lui velocemente prima di chiudere la porta. Gianna, che era ancora in bagno, non rispose nemmeno. Ma lui probabilmente non l’aveva nemmeno attesa la sua risposta. Il lavoro era tutto per lui e ora poi, che aveva aperto uno studio legale insieme al suo migliore amico, ne era completamente assorbito.

Gianna osservò il suo viso nello specchio, non sapeva spiegarsi il perché di quel disagio ogni volta che suo marito le era accanto. Eppure lui le voleva molto bene e la trattava sempre con un grande rispetto. Si sedette sul bordo della vasca avvolta dal suo accappatoio blu con la testa tra le mani e tirò un gran sospiro. Avrebbe fatto come le suggeriva lui, se la sarebbe presa con comodo.

Si asciugò i capelli, si mise in pigiama. Prese il telefono e chiamò la pizzeria sotto casa.

«Volevo ordinare una pizza ortolana e una birra, grazie», disse, pensando che evitare di cucinare fosse un ottimo inizio di serata.

Andò in salotto, cercò un film tra i dvd «Ecco, il favoloso mondo Amelie, perfetto. Lo rivedo volentieri», e si spaparanzò sul divano in attesa della sua cena.

Quando si coricò, poco dopo mezzanotte, suo marito non era ancora tornato. Non se ne preoccupò. La sensazione del letto tutto per sé non le dispiaceva.

La mattina seguente la sveglia suonò alla solita ora. Giorgio era già in cucina, Gianna sentiva l’odore di caffé attraversare la casa e stuzzicarle le narici. Non si era nemmeno accorta del suo ritorno quella notte. Si alzò e lo raggiunse di là, lo trovò già vestito e pronto per uscire.

«Buon giorno, ti ho preparato il caffé, io devo scappare», le disse posandole la tazza sul tavolo «Ho una riunione prestissimo». Si avvicinò per baciarla, ma lei fece finta di non notarlo e lo evitò girandosi per prendere la zuccheriera. «È già zuccherato», disse lui. «Ciao, buona giornata», gli rispose lei solamente. Lui uscì con le sue carte sottobraccio e lei si preparò con calma per la sua lezione, dopo un’oretta uscì anche lei.

Passarono un paio di settimane con i giorni tutti un po’ uguali a sé stessi, e l’umore di Gianna non sembrava migliorare. La comunicazione tra lei e Giorgio era ormai completamente interrotta. La cosa che stupiva Gianna era la competa assenza di sensi di colpa. Giorgio sembrava così preso dal lavoro da non accorgersene neppure, e lei non faceva nulla per cambiare le cose.

Una mattina, al bar, Gianna si sedette al solito tavolino appena fuori dalla porta e notò Rasul in piedi sull’angolo della via, sembrava quasi che l’aspettasse, ma non avesse il coraggio di avvicinarsi. Avevano preso l’abitudine di incontrarsi tutte le mattine per fare colazione insieme, Gianna amava molto conversare con lui. Lei gli sorrise e lo invitò al tavolo. Lui esitò, ma lei insistette e Rasul allora si avvicinò.

«Ciao, Rasul, cosa c’è, non ti siedi?». «Devo andare», le disse quasi sottovoce restando in piedi. «Ma cosa è successo?», chiese Gianna un po’ allarmata. Il cameriere li vide e fece cenno con la testa di aver capito, dopo qualche minuto arrivò con due cappucci e due brioches.

«Volevo darti questo, Gianna», le disse tirando fuori dal grande borsone che aveva a tracolla un quadernetto con la copertina in pelle tutta consumata. «Domani torno in Senegal, mia mamma sta male», continuò. «Oddio, mi dispiace», esclamò Gianna.

«È molto vecchia. Poi tornerò e porterò mia moglie e mia figlia». Aggiunse sorridendo. Gianna non poté che ricambiare quel bel sorriso. «Voglio che quando tu torni, me lo fai sapere», gli disse lei mentre scriveva il suo numero di telefono sul retro di un piccolo depliant. Quando il cameriere arrivò Rasul se n’era già andato, appoggiò lo stesso i cappucci sul tavolo e Gianna pagò come al solito.

Aveva tra le mani il quadernetto di pelle, ma non osava aprirlo, si sentiva quasi un’intrusa. Lo mise in borsa così, senza violarlo. «A casa, con calma», pensò.

E così fece. Augurò la buona notte a Giorgio, si infilò il pigiama e si buttò sul divano con il libricino in mano. Studiò ancora l’esterno di pelle marrone, lisa negli angoli, girandoselo tra le mani. Poi lo aprì ad una pagina a caso. Una scrittura fitta riempiva le spesse pagine ecru. Cominciò a leggere dalla prima pagina, era scritto in francese. «Carissima Marèm, in un villaggio molto lontano da qui vive una bambina felice». Era una favola. Continuò a sfogliarlo con curiosità, erano tutte favole ed erano tutte dedicate alla sua bambina. Parlavano della sua terra, del villaggio del nonno, della città che lo aveva accolto, dei tanti viaggi che aveva fatto.

Gianna si tuffò nella lettura e perse completamente la nozione del tempo. Lesse per quasi tutta la notte. In tutte c’erano meravigliosi riferimenti ad amore e libertà che l’appassionavano e le facevano rendere conto quando arida fosse diventata la sua vita di questi ultimi anni.

Si svegliò la mattina dopo con Giorgio che le scuoteva una spalla. Le portava una tazza di caffé fumante.

«Lavorato troppo?», le chiese. Lei si sciolse con un grugnito da quella posizione rannicchiata che aveva assunto per dormire sul divano. «No, leggevo. Ma che ore sono?», mugolò aprendo un occhio.

«Le dieci», rispose lui e Gianna ebbe un sussulto e si tirò subito seduta. «Non ti preoccupare, è sabato», l’anticipò Giorgio.

«No, pensavo a Rasul, sarà arrivato!», esclamò lei sovra pensiero. «Chi è Rasul?», chiese lui incuriosito. Gianna si rese conto che per due settimane lei aveva fatto colazione con Rasul, avevano conversato, avevano diviso confidenze e non si era mai preoccupata di raccontarlo a Giorgio. «Un ragazzo senegalese che vedevo spesso al bar dove faccio colazione», disse lei e aggiunse: «So che tornava dalla sua famiglia». «Ah», disse Giorgio senza chiedere nient’altro.

«E tu che fai già tutto vestito di sabato?». «Niente, pensavo di passare dall’ufficio per un’oretta prima di pranzo».

Gianna si sdraiò di nuovo sul divano con un debole «Mah». «Gianna, ho accettato l’incarico. Che vuoi che faccia?». «No, niente. Va bene così», rispose lei poco convinta.

«Preparati per l’una, su dai. Ti porto a mangiare al ristorante indiano», cercò di consolarla Giorgio. «Ok», disse lei semplicemente richiudendo gli occhi.

Giorgio uscì ricordandole: «All’una, Gianna». La porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle e Gianna prese in mano il libricino.

Lei e Giorgio si conoscevano dai tempi dell’università lui studiava giurisprudenza e lei drammaturgia. Non c’era stato un vero colpo di fulmine, ma grazie ad amici comuni si frequentarono abbastanza per arrivare a mettersi insieme. Fu sempre una relazione tranquilla senza troppa passione, ma con un grande rispetto reciproco.

Qualcosa però era successo durante il percorso. «Forse il fatto che lui non abbia voluto figli», pensò Gianna alzandosi dal divano. «Oppure la responsabilità del nuovo studio legale che lo porta sempre fuori casa». Non c’era mai stato motivo di astio tra i due coniugi, non litigavano quasi mai. «Ci siamo allontanati, semplicemente. Come due pezzi di legno alla deriva che seguono correnti diverse». Prese con sé il quaderno di Rasul. «Ciò che voglio è qui dentro», mormorò tra sé e sé avviandosi verso la camera da letto. Tirò fuori una valigia capiente e l’appoggiò aperta sul letto. Si guardò intorno, aveva poche cose a cui era particolarmente affezionata. Aprì l’armadio dei vestiti e cominciò da quelli, ne prese alcuni senza nemmeno sceglierli e li buttò alla rinfusa nella valigia insieme a un paio di libri e al suo diario.

Tirò fuori dal cassetto dello scrittoio le chiavi del monolocale che le aveva lasciato in eredità suo papà, che per fortuna era rimasto sfitto. «Avrà bisogno di qualche lavoro, ma per ora andrà benissimo», pensò. Per ultimo prese anche carta e penna e si sedette. Esitò un secondo, poi iniziò a scrivere: «Carissimo Giorgio, non so bene come cominciare questa lettera. Posso solo dirti che ho bisogno di tempo da sola per capire che cosa è per me l’amore …»

7 commenti:

Annachiara ha detto...

Bello e commovente.....

Donatella ha detto...

grazie.

Mi sto dando alla scrittura (quasi) seriamente!

Anonimo ha detto...

ciao! ;-) fiamma

Anonimo ha detto...

... completa assenza... forse manca una "L"! bellissimo racconto!!!

Donatella ha detto...

grazie mille chiunque tu sia ;-)

Anonimo ha detto...

Ma figurati! per me leggere è un vero piacere...vorrei quasi che fosse un lavoro!!
un'amica di un amico, o un amico di un'amica... poco importa per il momento!!

Anonimo ha detto...

Ma figurati! per me leggere è un vero piacere...vorrei quasi che fosse un lavoro!!
un'amica di un amico, o un amico di un'amica... poco importa per il momento!!