lunedì 6 dicembre 2010

senza senso (quindicesima puntata)


BERTRAND

Rientri a casa in silenzio pensando che tua moglie è una stronza. Non avresti fatto quello che hai fatto se lei non ti avesse fatto tutte quelle domande. Di questo sei certo. Tu non sei responsabile di quanto è successo, e nemmeno il cognac che ti riempie come una botte. Lei doveva tenere la bocca chiusa.

La vedi in salotto seduta sul divano mentre passi per il corridoio. Non sosti davanti alla porta, ma sbirci dentro con la coda dell’occhio. Noti che lei non si volta al tuo passaggio, rimane ferma con le gambe accavallate e gli occhi sulle pagine del libro che ha in mano.

Ti irrita semplicemente vederla immobile in quella posizione, sei sicuro che ti abbia sentito entrare. La vivi come una punizione e tiri diritto fino alla camera da letto.

Mentre ti spogli, avverti il peso di quelle domande. “Come mai sei già tornato? Non finiva domani il seminario? Perché non mi hai avvertito?”. Un peso che ti costringe a metterti davanti alle tue mancanze di marito. Al tuo menefreghismo. Al fatto che hai sempre amato altre donne.

Puoi ancora sentire l’eco delle tue parole mentre le rispondevi, affilate come una lametta, trattenute a stento sulla lingua prima che la rabbia esplodesse e le sputassi fuori con una furia inaspettata. Volevi fare male con quelle parole, la tua intenzione era di ferirla per farle pagare l’intero conto della tua frustrazione per la perdita di Nathalie.

«Lei, questa volta, non torna», è l’unico pensiero che pulsa ora nella tua mente.

Non sei riuscito ad annegare la tua disperazione nell’alcool, allora provi ad annegare il tuo matrimonio. Ti senti inadeguato e non riesci a sopportare che lei te lo faccia notare. Proprio lei che annaspa alla ricerca della perfezione. Che le prova tutte per compiacerti.

Ti addormenti talmente in fretta che confondi la realtà con il sogno, immagini di galleggiare nudo in una bottiglia di Hennessy e il rollio ti fa venire il mal di mare. La nausea ti stringe lo stomaco e sei costretto ad alzarti a trascinare il tuo corpo addormentato fino al bagno, frenando l’acidità che risale per l’esofago.

Non riesci a trattenere i conati e sei costretto a far correre le tue gambe aggrappandoti al muro per non cadere. Tutto gira a una velocità vertiginosa, anche la tazza del cesso dove stai rimettendo l’anima.

Il tuo respiro pesante ti riporta al presente. La testa ti scoppia. Coperto di sudore torni a letto sentendoti la persona peggiore che conosci.

senza senso (quattordicesima puntata)


CHRISTINE


Passeggi nella via adiacente a dove hai affittato la stanza, la stessa che vedevi dalla finestra. Passi sotto l’insegna al neon rossa e blu; sbirci all’interno della vetrina e ti soffermi a osservare una famiglia in fila che attende il proprio kebab. Poi prosegui senza una meta precisa, solo perché desideri fare parte anche tu di quell’immagine di cui prima eri spettatrice dall’alto.

La gente riempie i tavoli fuori dai locali. L’afa estiva ti toglie le forze, ma continui a camminare senza pensare a dove vuoi andare. Ti ricordi di non aver mangiato nulla da quando sei arrivata e ti ritrovi a curiosare il menù esposto fuori da un ristorante giapponese.

La fame e la curiosità ti spingono a entrare e timidamente ti accomodi a un tavolino nell’angolo, quello più lontano dalla porta. Sedere con la schiena contro le pareti ti fa sentire più sicura, non sei abituata ad andare in giro da sola. Osservi il gruppo di ventenni seduti a un tavolo proprio nel centro del ristorante, li vedi parlare senza capire cosa si dicono. Ridono, sembra stiano celebrando un compleanno. La ragazza bionda che ti da le spalle sta aprendo dei pacchetti colorati.


Tu non hai mai festeggiato il tuo compleanno al ristorante, nemmeno con gli amici ai tempi dell’università. Ti è sempre sembrato un momento da passare in famiglia, in quel modo abitudinario che solitamente avviene soltanto in famiglia, ripetendo di anno in anno le stesse cose, le stesse azioni, gli stessi commenti. Dove ti avvolge la sicurezza degli stessi profumi e degli stessi colori.

Quando eri bambina, tua mamma organizzava, la domenica, una grande merenda per te e tua sorella. Festeggiavate gli anni sempre insieme perché il caso ha voluto che nasceste lo stesso giorno di maggio, due anni esatti una dall’altra. Se il tempo lo permetteva, facevate una passeggiata prima di mangiare la torta; oppure tua mamma preparava panini e limonata e andavate a fare un pic nic nei grandi prati fioriti dietro casa dei nonni.

Ti ricordi chiaramente la nonna e il nonno, la mamma insieme a tua sorella. E le zie con i cugini. Non riesci, però, a far affiorare dalla tua memoria nemmeno un’immagine di tuo padre a un vostro compleanno. Lui arrivava la sera con due mazzi di fiori di campo, uno per te e uno per tua sorella.

Era in Chiesa di solito, la domenica pomeriggio. Fin da quando era ragazzo, cantava nel coro della chiesa e non aveva mai perso una prova se non forse una volta, che una polmonite lo aveva costretto a letto per giorni interi.

Solo adesso, che lui non c’è più, ne senti la mancanza. Prima, che tuo padre non ci fosse ti sembrava una cosa normale, anche per la festa del tuo compleanno. Nessuno aveva mai fatto osservazioni sulla sua assenza. Così era sempre stato.

giovedì 2 dicembre 2010

Sisterhood


sisterhood (virtual collage 2010)


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"skin - ornamental erotica"

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