mercoledì 17 febbraio 2010

senza senso (quarta puntata)




BERTRAND

Ti risvegli dopo ore con la testa pesante. Ti senti come un boccone di grasso masticato e sputato a lato del piatto. Sei solo, terribilmente solo. Una bottiglia vuota di Hennessy e il conto della stanza da pagare tutto ciò che ti resta. Alla fine hai perso anche te stesso. Potresti tornare sui tuoi passi, chiamarla e chiederle di tornare, ma sai che non sopporteresti un “no” come risposta.

Tu che hai creduto di volere solo il suo corpo, che l’hai scelta solo dopo aver intuito i suoi capezzoli scuri sotto la maglia. Tu che l’hai posseduta in ogni suo angolo con la prepotenza di chi non ha altri desideri da soddisfare e che hai ossessionato sulle sue curve appena accennate, immaginandola ancora bambina. Che le chiedevi di sussurrare all’orecchio parole in francese mentre la penetravi con forza come se, a ogni colpo, volessi raggiungerle l’anima. Tu, ora, sei devastato dalla sua assenza.

Fai fatica ad alzarti, se fossi un verme strisceresti a terra fino al bagno. Invece costringi le tue gambe a sorreggere quel peso morto che sei, così bevuto che ti sei perfino pisciato addosso.
Affronti quei dieci metri che ti separano dalla doccia come se stessi percorrendo la Parigi Dakar, tra sabbia e sudore. Pianti un piede dopo l’altro nel pavimento appiccicoso che ti sembra fatto di gomma. «Che schifo di posto», riesci solo a pensare, invece dovresti dirti: «Che schifo di persona che sono diventato».

L’acqua fredda della doccia riesce a dare un po’ di sollievo al tuo corpo, quel tanto che basta a scrollarti di dosso il torpore. Perdi la cognizione del tempo, lasci che il getto ti annienti quei pochi pensieri che hanno il coraggio di venire a galla nella tua testa spenta. Niente sapone, niente shampoo. Solo uno scroscio d’acqua gelida e il nulla.
Allunghi la mano oltre la tenda a cercare un asciugamano, ma non lo trovi. Allora esci dal bagno grondante e attraversi la stanza strascicando i piedi nella pozzanghera che si è formata sul pavimento. Una volta ti avrebbe fatto orrore immergere i piedi puliti nell’acqua sporca, ora invece guadi quella palude senza curartene. Con la stessa indifferenza che hai per la tua vita.

Raggiungi il letto, tiri a strattoni il lenzuolo e ti avvolgi restando in piedi davanti al materasso nudo. Raccatti in fretta e furia le tue cose dal pavimento e ti vesti. Devi uscire di lì, al più presto, la puzza di cognac e sigarette che ristagna nella stanza ti sta facendo venire la nausea.
Tua moglie ti crede via per lavoro, a casa non puoi tornare fino a sera. Ora non ti resta che cercare di riempire ore che sai già essere vuote.


To be continued ...


terza puntata
seconda puntata
prima puntata


giovedì 11 febbraio 2010

Lunatica

Antologia di racconti ispirati alla luna da un'idea nata su Facebook tra amici scrittori, lettori e frequentatori, tra un commento e l'altro. Curata da Paolo Melissi e Francesca Mazzucato.

Questi gli autori che hanno partecipatato all'iniziativa:

Francesca Mazzucato
Mangino Brioches [Anna Mallamo]
Anna Costalonga
Eva Carriego [Lina Dettori]
Gaja Cenciarelli
Biljana Petrova
Angela Scarparo
Harry Powell
Andrea Ponso
Jacopo Masini
Paolo Melissi
Sabrina Campolongo
Andrea Bruni
Luciana Viarengo
Mariella Soldo
Laura Costantini
Paola Presciuttini
Carmine Mangone
Cristiana Morroni
Nina Maroccolo
Donatella D'Angelo
Graziano Cernoia
Gianluca Chierici
Isabella Borghese

L'intero ricavato di "Lunatica" verrà devoluto a Fondazione Francesca Rava N.P.H Italia ONLUS a favore dell'ospedale pediatrico SAINT DAMIEN ad HAITI


Io ho partecipato entusiasticamente con un contributo letterario e grafico (racconto e copertina qui sotto)






VARIAZIONI LUNARI

«Come Quando Fuori Piove», esclama Alfio.
«Cosa?» Domanda Olmo. «Passo», aggiunge subito dopo chiudendo di scatto il ventaglio delle cinque carte che ha in mano.
«Co-me Quan-do Fuo-ri Pio-ve», compita lentamente Alfio fissando l’espressione confusa di Olmo, «Cuori Quadri Fiori Picche», dice infine.
«Oh!». Olmo non è sicuro di capire, appoggia le sue carte sul bordo del tavolo e rabbocca di grappa il bicchiere mezzo vuoto. «Come … quando … in cielo … c’è la Terra», dice dopo qualche secondo di pausa.
«Non c’è», ribatte sorpreso Alfio alzando il naso verso il cielo nero.
«No, non c’è», Olmo sorride, «Ma è esattamente come quando c’è».
«Oh!». Ora è Alfio a non capire e decide che forse è meglio riempirsi il bicchiere.
Olmo si alza in piedi. «Insomma, è come allargare le braccia e sentire l’atmosfera intorno, prova!»
Alfio si alza e tira su le braccia all’altezza delle spalle.
«Dai su, muovi ‘ste braccia», lo esorta Olmo.
«Come?»
«Su e giù ».
Alfio ubbidisce. Tira su e giù le braccia per un paio di volte, poi le riporta lungo i fianchi.
Anche Olmo fa lo stesso movimento. Su e giù. Su e giù, più volte.
«Si può fare di più», aggiunge dopo una pausa, allungandosi in punta dei piedi con le braccia distese sopra la testa, quasi a toccar le stelle, «vedi Alfio, è tutto intorno a noi, il nulla!».
«Il cielo», esclama Alfio urlando come fosse stata la risposta giusta a un quiz a premi.
«Lo spazio, Alfio, lo spazio», si sente di puntualizzare Olmo, «lo senti con il corpo, lo spazio intorno?».
«No», risponde un po’ interdetto Alfio guardando Olmo abbracciare il vuoto davanti a sé.
«Sei mai stato sulla Terra?»
«Mai, stato sulla Terra», risponde deciso Alfio.
«mai stato sulla Terra?», ripete stupito Olmo.
«No, mai!».
«Allora non puoi capire».
«Cioè, ne ho sentito parlare», si corregge prontamente Alfio, «posso immaginare!».
«Ecco sì, allora immagina», dice Olmo, «immagina un muro tra me e te».
«Come un muro? Che c’entra con la Terra?»
«Sulla Terra ci sono un sacco di muri», spiega pazientemente Olmo.
«Se ci fosse un muro tra noi due, io non ti vedrei», dice Alfio.
«Non sapresti nemmeno se ci sono, al di là del muro».
«No, infatti. Potrei pensarlo, però».
«Ma non ne avresti la certezza», puntualizza Olmo.
«No, ma se tu mi dici che ci sei, io mi fido». Alfio sorride.
Olmo lo fissa scuro in viso e Alfio smette di sorridere. Restano a guardarsi fissi per qualche secondo, poi scoppiano a ridere. Insieme.
«Ecco, hai fatto cascare il muro»! Dice Olmo senza riuscire a smettere di ridere.
«Infatti, ora ti vedo». Risponde Alfio.
«Anch’io ti vedo. E ti tocco anche», prosegue Olmo dando ad Alfio una pacca sulla spalla, così forte da farlo traballare.
«Piano, che mi fai volare via! l’atmosfera è così rarefatta stasera», grida Alfio. «Dai Olmo, facciamoci un altro bicchiere», aggiunge poi, tornando a sedersi sulla roccia.
«Sicuro, prendo un’altra bottiglia di grappa!»
«Gobba a levante, Terra calante. Gobba a ponente, Terra crescente», annuncia Alfio affacciandosi fuori dal cratere.

mercoledì 3 febbraio 2010

senza senso (terza puntata)




prima puntata

seconda puntata




NATHALIE

Giri per la casa nuda, la pelle bianca a vista, rivestita soltanto da un sottile strato di goccioline d’acqua. Avverti le piante dei piedi appiccicarsi al parquet. Il caldo è insopportabile, le orme umide dietro di te svaniscono in un baleno. Non tira un filo d’aria, ti avvicini alla finestra aperta cercando sollievo e intravvedi il tuo riflesso nel vetro. Di sfuggita, con la coda dell’occhio.
Ti giri di scatto, con una rapida mossa felina colpisci la finestra con il piede, che si chiude ricacciando il tuo doppio da dove era venuto. È stato un attimo, e sei di nuovo sola. Ora la finestra riflette il condominio di fronte.

Disprezzi la tua figura, non tolleri che lei richiami la tua attenzione. Entrando di soppiatto nel tuo campo visivo ti fa violenza e tu non lo puoi accettare. Soprattutto da lei. Non la vuoi incontrare, tu, la tua immagine riflessa. Ti è nemica. Come con una vicina di casa scomoda, ingombrante, invadente, hai con lei un conto in sospeso, una questione irrisolta. Da anni oramai.
Allampanato e informe, ti fa senso. Così lo vedi il tuo corpo, un oblungo ammasso di carne. Non abbastanza formoso, niente curve, niente colline e avvallamenti. Niente di niente, solo un mesto piattume. Un’estensione di epidermide chiara, interrotta solo da un cespuglio di peli neri, unica traccia matura in un corpo dimenticato da Dio.

Non hai mai voluto cedere alle sue insistenti richieste di tosare la tua aiuola ed estendere il deserto a perdita d’occhio. Hai detto no alla riesumazione dell’immagine bambina che tu hai seppellito con tanta cura, ben in profondità. Che hai stipato negli abissi della memoria, ben pigiata in modo da occupare meno spazio possibile. Incastrata ben bene nelle insenature del ricordo così da assicurarti che non venga più a galla. Ora che hai avuto il coraggio di lasciarlo indietro, lui, sai che la tua bambina è salva.

«Mamma, ma che fai a casa?». La voce di Sara arriva inaspettata. Ti giri di colpo e la vedi in tutto il suo splendore di diciottenne affacciata alla porta della sua camera. Sorridi.
«Hai una sigaretta?», le chiedi restandole di fronte nuda come un verme.
«Certo». Tu la osservi mentre ti passa la sigaretta già accesa e una maglia per coprirti, piccoli gesti veloci, e noti che avete lo stesso modo di muovere le mani. Riconosci il tuo nervosismo in quei suoi movimenti a scatti.
«Allora?», incalza Sara con una punta di preoccupazione nella voce.
«Ho chiuso», rispondi semplicemente tu, senza aggiungere altro.
«Un’altra volta?»
«No, stavolta sul serio». Sara sorride, tu sai perché. «Sei sola?», le chiedi indicando la porta della camera da letto.
«No», risponde Sara, «c’è qui Elena».
Tu fai per andartene, per non essere di troppo, ma Sara ti prende per mano. «Mamma resta, te la presento».



(to be continued)

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