mercoledì 30 aprile 2008

soldatino

Milano, 1936 - Kiko e nonna Feliciana

Gormita














- Bimbi su vestiamoci in fretta … piove, dobbiamo andare a scuola in metrò …
- Nooo, io voglio andare in bici …
- Uffa, non voglio andare a scuola! Odio la scuola!
- Mamma posso portare un Gormita all’asilo?
- Ines non vuole giochi …
- Ma noooo, mamma, posso portare un Gormita?
- Milo, lo sai che Ines non ….
- Ma mammmaaaaa, posso portare un Gormita?
- Oh Milo zitto, non hai sentito cosa ha detto la mamma?
- Leo per favore non intrometterti … e tu, cosa fai ancora nudo? Fra dieci minuti usciamo, dai vestiti, per favore
- Mamma voglio portare un Gormita!
- Milo, basta per favore, ho detto di no! Vieni qui che t’infilo la felpa. Leo, hai messo la maglia al contrario, ma non ti da fastidio con l’etichetta sotto il mento?
- la felpa … Milo, ma dove vai?
-A prendere un Gormita!
-Ma ti ho detto di noooo, vuoi farmi arrabbiare?
- Ma mammaaaa!
- Mamma, devo fare la cacca!
- Ecco cos’era questa puzza, Leo ha scoreggiato, Leo ha scoreggiato!
- Scemo, tu hai scoreggiato, io non puzzo
- Sì che puzzi
- Basta, voi due!
- Milo, vieni qui, non costringermi a rincorrerti per tutta la casa.
- Mamma manca la carta igienicaaaaaaaa … vieni?
- Mamma posso portare un Gormita?
- Arrivo Leo … bravo Milo infila!
- Mamma posso portare un Gormita? Uno doppio?
- Ecco Leo … per favore, apri la finestra!
- Leo puzza, Leo puzza, Leo puzza …
- zitto Milo o ti spacco la faccia …
- zitto tu puzzone …
- Smettila … mammaaaa
- Dai Milo piantala, comincia a metterti le scarpe …
- Me le metti tu?
- Ok, però devi imparare, sei grande adesso
- Ohhh, mamma, mi sono dimenticato … ci sono due avvisi da firmare!
-Adesso me lo dici? Dai tira fuori il diario
- Mamma il Gormita?-
- No, cazzo! I Gormiti no, a scuola no, chiuso il discorso!
- uaaaaaaa, ma mammaaaaaaa …
- Non voglio andare a scuola in metrò
- Dai Leo anche tu preparati … giacca, su che andiamo
- ma dobbiamo camminare?
- eh sì caro
. ma non voglio andare in metrò … puzza
- Neanche ioooo, la mantella blu mi fa schifo!
- Diluvia, non possiamo usare le bici … così usi il tuo ombrello nuovo
- Posso mettere il cappello giallo?
- Ok … fuori tutti adesso che chiudo.

Tre ombrelli bagnati, due bambini pure, due cartelle, una mamma si apprestano a spingere per salire su un vagone strapieno della metropolitana di Milano all’ora di punta … senza il Gormita!

domenica 27 aprile 2008

10 minuti di felicità

E così oggi ho avuto i miei 10 minuti di felicità.

Seduta sulla mia poltrona con il mio bel cuscino sotto le chiappe, il sole che illuminava le pagine della “Ricerca del tempo perduto” proprio nei punti che avevo sottolineato, come per enfatizzarne la poesia. Quella parvenza di isolamento che rasenta il sogno e il gatto appallottolato sulla pancia tipo vecchio plaid, cosa volevo di più.

È in quel preciso momento che mi sono chiesta se sono arrivata ad apprezzare la felicità nelle “piccole” cose per saggezza o solo perché non ho avuto la fortuna di averne di “grandi”.

Diceva Proust: “La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente”.

sabato 26 aprile 2008

rivelazione

Curiosavo tra i libri quando sono stata attratta da un nome familiare. Quel nome e quel viso mi dicevano qualcosa. Bene, è stata comunque una rivelazione! Adesso il nome di Giovanni Allevi mi dirà qualcosa di più. Questa è l'immagine del suo ultimo album.

Tempo

Certo che una delle cose che manca alla maggior parte della gente è il senso dell’umorismo. A volte mi trovo seduta in metropolitana ad osservare ogni piccolo particolare delle persone che occupano i centimetri quadrati più prossimi a me e rido. Creo personaggi, biografie e rido, da sola.

Con gli anni ho scoperto qualità più profonde nelle persone, e ho potuto goderne solo una volta libera dal giudizio sull’aspetto esteriore. E sono sempre più certa dell’influenza che ha l’umorismo sulla vita, illuminandola di una luce diversa. La facoltà di vedere la vita con una certa ironia, l’intelligenza di non perdere la capacità di ridere anche nei momenti che sembrano più bui. Apprezzo chi riesce a vivere con un pizzico di auto ironia e di una continua auto analisi che può indicare solo una profonda conoscenza di sé stesso e del mondo. Qualità pressoché assente nella maggioranza di chi è troppo preso dall’immagine di sé e da quello su cui si proietta l’immagine stessa.
In questi ultimi anni “socializzare” per me ha preso un significato molto più ampio di quanto non lo avesse prima. L’esigenza giovanile della ricerca della perfezione a tutti i costi lascia il posto ad una piacevole consapevolezza del semplice piacere della conoscenza e posso finalmente soffermarmi e cogliere quello che penso sia la vera essenza del rapporto umano.
Entrare in contatto con l’intimo. Conoscere. Andare in profondità. Superficialità è diventato solamente sinonimo di noia. Non ho più tempo per la noia. Disprezzo quei discorsi vuoti, quelle parole senza spessore che molte volte ti vengono vomitate addosso. Non m’interessa ascoltare affermazioni senza intento e allo stesso modo respingo storie senza significato. Il mio tempo è prezioso, non posso permettermi di sprecarlo.

Amo stare in compagnia e godo del ridere altrui. Esulto per il calore umano che sale e riempie la stanza alimentando la mia voglia di vita. Così come allo stesso modo adoro il tempo che passo da sola, nel mio piccolo grande mondo fantastico frugando nel mio instabile universo interiore. Lo ritengo un momento unico e irrinunciabile, per la vasta profondità in cui riesco a perdermi. Libertà, amicizia e poesia. Desidero sentirmi libera, non avere confini. Amo sentirmi sovrana di comunicare con le persone che considero vicine a me e che stimo. Adoro ricercare la poesia in tutto ciò che mi circonda. Amo appassionatamente fremere mentre le note del “Laudate Dominum” di Mozart penetrano in tutti i miei pori, sentire la potenza del trasporto di quella particolare musica che m'innalza al di sopra della mia stessa anima. Amo tutta quella musica che mi può dare quello stesso fremito.

Chiudo gli occhi e mi trovo in un mondo diverso. Lontano da quello reale di cui sono molto spesso delusa. Mi sento piccola piccola di fronte alle cattiverie del mondo, ma poi mi sento grande grande di fronte alla piccolezza della cattiveria. La cattiveria, un male per me inconcepibile. Cosa faccio io per cambiare il mondo? Educo i miei figli alla poesia della vita, al rispetto della bellezza, ad ascoltare il canto degli uccelli ed osservare la luna.

Mi padre a suo modo ha cercato di fare così. Diffidente di fronte all’affetto fisico, di lui ho sofferto i baci della buona notte mancati. Irremovibile nelle sue convinzioni, ha trasmesso, quasi senza volere, i suoi principi semplici e naturali di rispetto per il mondo. Non sempre ho apprezzato i suoi modi e non sempre ho condiviso le sue idee. Ha cercato come poteva di proteggere le sue figlie dalle insidie della malattia mentale, ha rattoppato gli strappi procurati dall’irresponsabilità delle nostre scelte. Era sempre lì. Così come lo è tuttora. Allungava la mano anche quando non poteva e anche con le sue suole bucate ci faceva sempre trovare delle scarpe nuove. Leggo nell’uomo tutto di un pezzo la debolezza di una vita difficile vissuta dignitosamente tra le imboscate della sorte. È ancora lì, di fianco a mia mamma, coraggioso nella sua compassione. Rivedo l’uomo preoccupato in terapia intensiva, rivedo l’uomo autoritario della mia infanzia, rivedo l’uomo che deve sempre avere in pugno la situazione, l’uomo che da lezioni di vita. Sorrido a tutte le volte che l’ho combattuto, che l’ho preso di petto pensando di spuntarla. M’intenerisco a pensare ai molti suoi gesti, segni di un amore che io non riuscivo ad interpretare. Lo vedo adesso, seduto sempre sulla stessa poltrona, provato e quasi rassegnato ad un destino come fosse sempre stato già scritto prima.

giovedì 24 aprile 2008

essere o non essere

L’uomo con cui tu hai condiviso 20 anni di vita è lì in piedi di fronte a te. State ancora litigando, uno di quei litigi stupidi e inutili che avresti potuto benissimo evitare, ma che ormai tu vivi come se ti stessi lavando i denti, riempiendoti la bocca di schiuma per poi sputare. Sai che la cosa migliore è mantenere la calma, ma non sei sicura di averne ancora la voglia. Ad un certo punto senti la solita agitazione che comincia a montare, e tu non riesci a trattenerla, riempie la pancia ed infine esce dalla bocca: “insomma, potresti evitare di giudicare ogni cosa che faccio”.

Silenzio.

L’uomo si volta, ti guarda, come se ti avesse visto per la prima volta, e ti risponde:

“E tu (pausa) … tu (pausa) … tu evita di esistere!”

In quel preciso istante, di colpo, non senti più nulla, l’uomo grida ancora qualcosa, vedi le labbra muoversi e le braccia agitarsi. Escluso l’audio odi solo un lieve ronzio, come in un film muto. Tutto intorno gira a rallentatore.

Ed è allora che capisci che non c’è più ritorno. Lì in quel luogo e in quel tempo si è spezzato qualcosa.

“E tu … tu … tu evita di esistere!” Ti ripeti nella testa pesando parole e pause. Sì, le pause, in tutta la loro composta importanza. Prendere fiato prima dell’enunciazione; dietro a quel respiro può esserci un solo pensiero, una pausa è incertezza, due pause decisione.

Poi ti soffermi sulla parola “Esistere”. È lì che sta la profondità della sua psicologia, nella parola “esistere”: vivere, essere in vita, essere in realtà, esserci. Il desiderio inconscio di cancellarti, la volontà di rinnegare la tua presenza. Non esserci, la totale negazione, il nulla, la tua esistenza contro la sua.

Alla fine è solo una questione di sopravvivenza. E purtroppo io esisto!

I can't stop lovin' you



Ella Fitzgerald, Berlin 1968

marziani

martedì 22 aprile 2008

Orso Grezzo

Pedalando, salgo sul marciapiede e vedo che il mio palo è libero. Da qualche mese sono perfino arrivata a chiamarlo il mio palo, come se la mia bicicletta si offendesse a legarla da un’altra parte. Ma sono inspiegabilmente contenta quando è lì, bello, verde e nudo ad aspettarmi. La vivo come una piccola soddisfazione, la mia bici, legata al mio palo, di fronte alla mia finestra, del mio ufficio. L’ufficio non è proprio mio, ma visto che sono praticamente sempre sola, faccio finta. Alzo lo sguardo e le tapparelle sono ancora abbassate, altra piccola soddisfazione. Direi che come inizio settimana non posso lamentarmi.

Infilo la chiave nella toppa e una volta aperta la porta tutto quel forzato entusiasmo di prima svanisce all’improvviso. Vengo inondata da un odore di chiuso, misto sudore e sigaretta, che mi deprime all’istante. Accendo la luce, e la vista dei muri spogli e dell’arredamento pacchiano mi schiaffeggia dritto sul volto. Ma cosa ci faccio qui?
Mi guardo intorno, mentre tiro su le tapparelle e neanche i raggi di sole che entrano di soppiatto riescono a rallegrare l’ambiente. Nella stanza ci sono lattine di coca cola vuote ovunque, e il cestino trabocca d’involucri di merendine. Certo che è un personaggio squallido, potrei riassumerlo in due parole: orso grezzo.
Apro la finestra nella mia stanza e mi metto al computer, nella mia testa continuano a riecheggiare le parole “orso grezzo”, e mi compiaccio di essere riuscita a riassumere una personalità così grigia come la sua in una singola ed esplicita immagine. Più ci penso è più il mio cervello forma un’immagine precisa. Mi ritrovo così a scrivere di getto, quasi senza accorgermi, e senza fermarmi.

“L'orso è un grande mammifero dell'ordine Carnivora, famiglia Ursidae. In Italia si trova l’orso bruno e un esemplare unico di orso"grezzo".
Gli orsi vivono in una grande varietà di ambienti, dai tropici all'Artide, dalle foreste alla banchisa. Solo l'orso "grezzo" si è adattato all’ambiente urbano, assorbendone purtroppo gli aspetti negativi, tra i quali l’assunzione di nicotina e sostanze alcoliche.
Tutti gli orsi hanno in comune la pelliccia densa, una coda corta, un buon senso dell'odorato e dell'udito, l'orso "grezzo" ha sviluppato un’individuale capacità di udire e percepire rumori provenienti da appartamenti o nuclei di umani che vivono nelle vicinanze.
Gli orsi hanno un grande corpo, l'orso "grezzo" in particolare. Sono, infatti, in grado di alzarsi in piedi sugli arti posteriori e l'orso "grezzo" è in alcuni casi persino in grado di deambulare allo stesso modo di un essere umano.
I loro denti sono utilizzati per la difesa personale e come strumenti, l'orso "grezzo" usa digrignare i denti per spaventare la preda. Usano gli artigli per strappare la carne e per scavare profonde buche. Hanno un muso lungo e orecchie rotonde, l'orso "grezzo" anche una faccia tosta.
Sono onnivori, anche se alcuni hanno una dieta basata solo sulla carne, come l'orso polare. Mangiano inoltre licheni, radici e bacche. Possono anche catturare pesci in un corso d'acqua. Il loro aspetto dipende dalla dieta dell'orso stesso. L'orso "grezzo" è famoso per le sue scorte di cibo spazzatura che custodisce gelosamente per tutto l’inverno. L’eventuale drastica diminuzione delle scorte provoca una singolare reazione motoria e verbale, di cui non ci sono ancora studi approfonditi, e che coinvolge tutto il sistema nervoso centrale.
Gli orsi cacciano soprattutto alla sera e all'alba, a meno che non ci siano esseri umani nelle vicinanze. Al contrario l’orso “grezzo”, vivendo in un ambiente urbano, ha acquisito la capacità di cacciare di giorno in mezzo agli esseri umani, a volte gli esseri umani stessi.
Alcune specie, come l'orso polare e l'orso bruno, possono essere pericolose per gli uomini, soprattutto nelle zone più popolate. In genere però, sono animali elusivi ed amichevoli. È solamente l'orso "grezzo" che si presenta come particolarmente mansueto al primo incontro, nascondendo invece un carattere feroce che si presenta poi alla prima occasione.
Nelle regioni temperate e fredde, gli orsi trascorrono il periodo invernale in uno stato di sonno profondo e prolungato che è erroneamente scambiato come stadio di letargo. Nel territorio urbano l’orso “grezzo” tende ad assopirsi e ad eludere qualsiasi tipo di comunicazione con l’esterno in un modo quasi quotidiano. Quando questo “torpore” è interrotto da più risvegli, l’orso “grezzo” tende a reagire a sorpresa in maniera particolarmente aggressiva.”

Sento il rumore delle chiavi nella toppa, e l’orso “grezzo” si materializza davanti ai miei occhi. Devo fare uno sforzo enorme per non ridere.

Santa Teresa?

Pittore Alfredo D'Angelo e famiglia


LE SUE MANI

Un pennello e una tela:
le sue mani.
Un violino e un pianoforte:
le sue mani.

In quel disordine
Sembrava
che non ci sarebbe mai stato
un ultimo giorno.
Una partita
persa lentamente;
sofferenza
di un bambino in castigo;
ingordo di vita
esisterà per sempre.

Vicino e lontano:
le sue mani.

Zingara

Ignara volteggia al falò
nell’azzurro carcere
di un mare che unisce
quei due corpi sapienti
di un lamento latente.

Alti i Bastioni serrano
come nebbia i tormenti
di un mare che scinde
il pittore e la musa,
incertezze d’autunno.

Risa nude in segreto
di breve momento
ma d’intensa dolcezza,
illumina il vento
con trasporto infinito.