mercoledì 25 febbraio 2009

la rabbia in gabbia ...

Combatto la rabbia che viene con la rabbia che va. Impensabile trattenerla, indispensabile trasformarla. Quando vedo piangere i miei sogni, le mie due speranze, allora lì capisco che è troppo. Quando li vedo contorcersi per un dolore che non capiscono e che è troppo forte per loro, so che li devo trarre in salvo io, anche dalla loro di rabbia. È un gioco perverso, è un circolo. Perpetuo. Sono io, solo io, che ho l’obbligo di dire basta e quel momento lo trascino all’infinito, per paura di cambiare, della solitudine o solo per mia lentezza. O forse solo perchè impedita.

Ma ci provo, Dio solo lo sa quanto ci provo. Ogni giorno mi alzo con la stessa convinzione di vivere, ma la mia gioia non piace. È nemica. È ostacoltata. E quando la testa esce finalmente dall’acqua per una boccata d’ossigeno, la mano feroce mi ricaccia sotto. Il mio corpo si attorciglia, senz’aria, in gesti d’affanno. Di panico. La stessa identica sensazione di non potercela fare che provavo davanti a mia mamma , oggi la provo davanti al marito, la stessa impressione che quella sarebbe stata la mia ultima boccata, poi solo cianotica rassegnazione. La percezione di ogni singolo muscolo del corpo che si ribella; rassegnazione è morte e io non voglio morire. Per me e per i miei figli.

L’anima è pronta, spiegate le ali, ma resto lì. Spirito contro materia. Gli ostacoli pratici, il lavoro, i soldi, la casa mi separano dall’ascesa al cielo. Le mie parole: “non ti amo più” non bastano. Così come: “facciamo del male ai nostri figli” non è sufficientemente motivante per la collera che non sa andarsene. Vorrebbe forse, ma non sa. Io costretta ad attendere, in una gabbia che si stringe. Creando un’infinita catasta di rancori buttati lì, senza ordine, i giorni passano.

E leggo, così come scrivo, leggo. Leggo della vita degli altri, perché la mia vita da sola non basta a soddisfare la mia atavica fame. Mi cibo di emozioni, di dolori e gioie altrui. Mi riempio la pancia. Non il cuore o la testa, ma la pancia. È lì che mi colpisce il pugno della vita, e mi lascia un attimo senza respiro perchè concentrata sul punto d’impatto, tutto il resto svanisce.

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