martedì 24 marzo 2009

la ragazza che alza le spalle

Poi qualcosa si è inceppato, mi ha fatto inciampare e sono cascata. Ho stravolto il significato, fatto confusione. Il sesso è diventato merce di scambio, usato per sentirmi amata. Ho giocato d’azzardo con l’amore, l’ho scommesso e l’ho perso.
Alla ricerca di me stessa tra gli incontri di una notte. Musicisti sconosciuti e artisti scriteriati. Il sesso tra i muri di case occupate, ai concerti punk, per la strada. Costeggiando in punta dei piedi l’euforia della droga. Un piede dentro e l’altro fuori. Mi chiudo a riccio lasciando fuori il mondo, quel mondo che tanto vorrei girare in lungo e in largo.
Comincio a correre, sempre più veloce. Per non pensare trattengo il respiro.

Canta in inglese con un accento tedesco. Seduta in prima fila lo fisso per tutto il concerto. Il posto è piccolo e non può che notarmi. Sorrido, lui ricambia. Infatti.
Un paio di ore dopo siamo a casa mia. Due settimane dopo sono a Vienna da lui in visita. Un paio di mesi di frequentazione dopo rimango incinta.
Sono costretta a fermare la corsa. L’immobilità mi obbliga al pensiero ed è ciò che non voglio. Cosa ci faccio io, con un test di gravidanza positivo in mano?
Seduta sul bordo della vasca da bagno non so rispondermi.
Lo chiamo e gli parlo. E mentre parlo mi chiedo chi sia quello sconosciuto dall’altra parte del telefono. Allora lascio parlare lui, ma non lo riconosco. Gli dico addio, è finita. Lui, allarmato, è già sul primo treno per Milano. Io, più allarmata di lui, lo rispedisco al mittente. Per sempre. A diciannove anni non potevo fare altro. Non volevo fare altro.
Abortisco, in modo leggero, un po’ come un’alzata di spalle. Allora ero così. Alzavo le spalle. Vivevo un susseguirsi di eventi per colmare un vuoto. Senza prendere fiato. Non mi fermava nulla, nemmeno la vita.

Riprendo esattamente da dove mi sono fermata, quasi non fosse successo nulla. Il mio monolocale è un porto di mare, ma mi sento sola. Un vuoto che non riesco a colmare.
Qualche mese dopo. Ho mollato tutto. Sono partita per Londra. “All’avventura” mi dico. Conosco in treno due ragazze di Crema, si parla del più e del meno. Poi mi spiegano che sono in partenza. Hanno trovato lavoro come cameriere in una “residenza” per studenti. Pulire le stanze, rifare i letti, cose così. “Partiamo fra due settimane. Vuoi venire?.”
Detto fatto.
Il mio arrivo a Victoria Station, qualcosa d’indimenticabile. Chiodo e capelli blu, dipinti durante la traversata della manica. Due paia di calzettoni per gli anfibi troppo grandi. I piedi mi sudavano, mentre facevo i primi passi sul suolo londinese. “Un sogno” penso.
Ma non per molto. Pulire i gabinetti degli altri non fa per me. Nel giro di un mese ero fuori.

Sette mesi ho passato a Londra, sette mesi a rincorrermi. Ho dormito ovunque trovassi un giaciglio. La casa di due benestanti romani. Il marciapiede a Piccadilly Circus. Una casa occupata in periferia. Tra pulci o lenzuola faceva lo stesso. Tutto senza mai prendere fiato. Perché una ragazza che alza le spalle non ha tempo di respirare, vive in apnea.
Ma a trattenere il respiro per sette mesi si rischia. Così ho alzato le spalle per l’ultima volta. “Papà, ho bisogno di soldi per il treno. Torno a casa.”. E lui era lì, pronto, ad incollare i miei cocci. Come sempre. Senza giudicare. Con la generosità di chi si sente responsabile.

È stato soltanto quando la solitudine è diventata così insopportabile che mi sentivo trasparente anche tra la folla e il silenzio così persistente che udivo solo il mio affanno, che mi sono arresa all’inevitabile. Seduta su una panchina a Saint James Park, ho scritto le parole del mio ritorno. Londra: una tregua da me stessa per potermi riprendere in mano.
La pioggia sottile dei pomeriggi inglesi firma il mio foglio di via. Dopo mesi di fuga è ora di tornare per fare i conti con i miei fantasmi. Incapace di sbarazzarmene.
Ero partita da Milano pensando di poterli lasciare indietro. Li ho invece sorpresi nascosti lì, dentro la mia valigia. Io esisto bianca, come esisto nera. L’interezza è la mia anima, non si può scomporre, anche la mia parte più buia fa parte di me.
Quindi basta con i capelli blu. Torno sola con il mio bagaglio.


S. JAMES PARK

Un paio di occhiali,
memorie.
Ma dietro quelli niente,
un pensiero trasparente,
mai esistito.
E vago,
contemplo parole
che non comprendo.
Un battito d’ali mi risveglia,
il passero prende il volo.
Lo osservo volteggiare.
E sparire,
dietro una nuvola.
Non mi sono mossa.
Nel silenzio della mia mente,
ascolto tutto,
tutto è intorno a me.
Colori che si credono musica.
Una leggera brezza
muove le foglie.
Quelle stanche
si fanno trasportare
dalla corrente del fiume.
Una forza infinita
sospinge la mia anima
verso nuove frontiere,
ma non mi muovo.
Continuo a vagare
nel silenzio delle illusioni.
Passeggiata piacevole
per chi vuol dimenticare
un futuro incerto,
un biglietto di sola andata.

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