domenica 8 marzo 2009

Il "Vecchietto"

Milano, 1972

Nonno paterno pittore. Rara, ma intensa frequentazione. Un passato reticente e avaro di particolari, non parlava volentieri di sé. Lo andavamo a trovare solo ogni tanto e io, ogni volta, avevo la sensazione d’intrudere nel suo universo incantato. Il suo studio in via Mercato l’ho sempre vissuto come un mondo a sé stante. Scollegato, in un certo senso, dalla realtà familiare. Un’oasi.
Conservo immagini piene di colore e di musica. Le rivedo come se fossero fotografie, nature morte. La tavolozza, i pennelli e le decine di tele. Un ricordo esteticamente completo, un equilibrio perfetto tra cromatismo e affettività. Non l’ho mai visto dipingere, se non nella mia immaginazione. Eravamo anche noi una parentesi nella sua vita. Nella sua creatività.
Il grande open space mi accoglieva con un profumo intenso di acquaragia e di chiuso, un odore quasi rassicurante. Nella penombra della cucina, dove regnava un disordine permanente, l’enorme forno per cuocere la ceramica mi metteva soggezione e ogni volta ci passavo di fianco veloce, senza guardarlo. Ero costretta a passare di lì per entrare nel salone e raggiungere il pianoforte all’angolo opposto, il mio angolo preferito. Seduta sullo sgabello ad osservarlo di soppiatto, mi riempivo i polmoni di quella passione che si respirava in ogni punto nella stanza.
L’uomo delle arti, mi piaceva pensarlo così, pittura e musica. Con le sue grandi mani nodose e deformate suonava per noi pianoforte e violino. Senza talento. Suonava stonato allegria e gioia di vivere, e rideva, rideva molto. Nella sua maniera un po’ bohèmiana di affrontare la vita, trasandato e ricurvo, esercitava su di me un fascino enorme. Profumava di libertà. Aveva lasciato la famiglia per la sua arte, dopo aver esaurito i principali doveri di padre e marito si era dedicato solo ai suoi quadri. Il “Vecchietto” lo chiamava mio padre. Il “Vecchietto” era diventato il suo soprannome. Il desiderio affettuoso di un figlio nel tentativo di accudire l’anima libera del padre che non sopporta legami. Per noi non aveva altro nome.
Ricordo il suo splendido modo di comunicare, cortese e un po’ imbarazzato, fascinoso nel suo essere artista e nonno. Io lo vedevo così, nonostante mio padre parlasse spesso del suo pessimo carattere. Con lui ho scoperto la pittura. Immagini che tuttora mi riempiono di gioia, di una gioia così immensa che a guardarle mi commuovo fino alle lacrime. Immagini che mi emozionano al punto di sentirmi scivolare dentro la pennellata. Mi sento il quadro stesso. La capacità di dare origine a figure così vigorose e l’appassionata ricerca delle forme e del loro significato profondo sono i gesti che nutrono la mia anima. Il nonno pittore, un segno indelebile, la mia iniziazione al mondo delle arti. Una vita lunga e disordinata. Morto poi, per la troppa voglia di vivere, giocando al di sopra delle sue possibilità. Ha parato tutti i colpi, prima di cedere all’ultimo. Dopo tre infarti e un ictus, la scoperta di non riuscire a tenere più in mano la matita gli ha fatto scivolare via la vita. Silenziosamente venuto meno nel letto di ospedale, con una Santa Teresa appena abbozzata sul comodino.

1 commento:

Unknown ha detto...

Bello e commovente questo tuo ricordo sgorgato dal cuore e dalla memoria.
Vedi che ogni volta che maledico Fb, poi mi accade sempre qualcosa di bello per poter dire che in realtà sono contenta, se di link in link arrivo a conoscere persone che forse vale la pena di conoscere davvero...
Un abbraccio, Donatella piacere di conoscerti :-)