martedì 27 ottobre 2009

Complice un'isola

Pubblicato sul settimanale "Vera" n.20 del 3 novembre 2009

La piccola imbarcazione avanzava lentamente, bordeggiando con cautela per risalire lo stretto canale. Era un soleggiato pomeriggio d’estate, con una fresca brezza che tirava da nordovest, la foresta scendeva ripida per il pendio roccioso a picco sulla costa, dove incontrava all’improvviso le onde del mare. Piccina, ma resistente, la barca oscillava sospinta dalle onde che si creavano nello stretto corso d’acqua al suo passaggio. La mano solitaria strinse la presa sulla barra del timone virando verso una piccola nicchia nella parte occidentale della costa. Lei era in ginocchio all’interno della cabina attenta a osservare ogni minimo segno che indicasse il pericolo di rocce poco visibili a pelo della superficie dell’acqua. Continuò a dritta fino a che non superò la punta rocciosa a strapiombo sul mare. Con una rapida manovra controvento fermò la barca, le sue braccia esperte si mossero veloci per gettare l’ancora, e mollò la cima. L’ancora si tuffò in acqua e scese in fretta fino a toccare il fondo, lei si occupò della fune in modo che l’imbarcazione fosse ormeggiata in modo sicuro nel caso cambiasse il vento o si alzasse la marea. Occupata com’era con le manovre, non si accorse che durante tutte le sue esperte operazioni aveva avuto un pubblico. Un ragazzo in blue jeans, maglia bianca e giubbotto di pelle nera era seduto sulla roccia a strapiombo e aveva osservato l’avvicinamento della donna skipper con ammirazione. Lei non se ne accorse, perché nel momento in cui si alzò e tirò su la testa, dopo aver assicurato l’ancora, lui si era già allontanato dirigendosi velocemente verso gli alberi della foresta.

Una volta che Irene fu sicura del suo ormeggio, scese sotto coperta e mise sul fornello un bollitore per il tè. Mentre aspettava che l’acqua bollisse, prese dallo scaffale un grosso quaderno con una copertina rigida in cartone arancione, era il diario di bordo che lei aggiornava meticolosamente, sia con note riguardanti la navigazione sia con appunti personali. Lo aprì all’ultima pagina scritta la mattina prima di partire e annotò l’ora di arrivo, la posizione precisa del punto protetto dove aveva ancorato la barca, il tempo atmosferico e, come nota personale, aggiunse che aveva l’impressione di aver trovato il posto perfetto per scrivere in solitudine.

Irene, aveva da poco compiuto quarant’anni, non particolarmente alta, robusta quanto basta per farle pensare spesso al fatto di dover fare più ginnastica; una chioma bionda con un taglio piuttosto corto, alla maschietto, fa da cornice ai suoi enormi occhi verdi. Quando non è impegnata a lavorare come redattrice di una rivista di moda, tutti sanno che la si può trovare sulla sua barca, oppure chinata sulla tastiera del suo computer a comporre poesie o scrivere favole per ragazzi, che è la sua vera passione. Questa volta era riuscita a unire questi suoi due grandi amori, il mare e la letteratura partendo in solitaria. Dopo un anno piuttosto difficile, ne aveva particolarmente bisogno.

Una volta preparato il tè, prese la tazza, il suo portatile e si recò nuovamente sul ponte, dove aveva diligentemente preparato un accogliente angolo per lavorare appoggiando la sua sacca contro l’albero da usare come schienale. Si sedette e, prima di immergersi nel mondo delle sue fantasie, si gustò la vista di quello che sarebbe stato il suo nido per i giorni a venire, sorseggiando il suo tè e guardandosi intorno. Un panorama fantastico a trecentosessanta gradi. Notò le piccole lingue di sabbia che entravano in acqua, le sottili spiagge sabbiose protette dalla foresta, che saliva poi ripida per la montagna. A prima vista il paesaggio appariva privo d’insediamenti umani, ma osservando meglio si potevano intravedere, nascoste dagli alberi, almeno tre o quattro strutture. Una di queste sicuramente una casa privata. Irene pensò a quante volte aveva sognato di poter comprare una casa in un’isola, tra mare e foresta, come quella. Un sogno mai realizzato. Finì il suo tè, appoggiò la tazza vuota a terra, accese il computer e lasciò spazio alla sua immaginazione.

Frank si era arrampicato per un sentiero poco battuto che saliva ripido su per il pendio e s’inoltrava nella foresta fino a raggiungere una grande casa in pietra completamente circondata dagli alberi. Saliva veloce con le mani in tasca mostrando quella sicurezza di chi conosce la strada a memoria. I capelli corvini, scuri come il giubbotto di pelle, facevano risaltare la carnagione chiara. Mentre saliva verso la casa si ritrovò a pensare alla donna skipper che aveva appena visto essere così esperta di mare e si chiedeva come mai avesse ormeggiato proprio lì, di fronte a casa sua. Pensò che fosse strano per una donna ritrovarsi sola in mezzo al nulla, ma poi pensò anche che questo paradiso, anche se piuttosto isolato, non si trovava esattamente in mezzo al nulla; sull’altro versante dell’isola c’era il paese, e a pochi chilometri in linea d’aria le altre tre isolette dell’arcipelago frequentate, soprattutto d’estate, da una folla di giovani artisti. «Forse non lo saprò mai», disse tra sé e sé mentre saliva la scalinata di pietra che portava all’ingresso della casa. Entrò dalla porta che aveva lasciato aperta, salutò affettuosamente Samo, il suo grosso labrador nero, che gli venne incontro facendogli un sacco di feste e poi si diresse come d’abitudine verso la segreteria telefonica. Pigiò il tasto che stava lampeggiando e si mise in ascolto seduto sul bracciolo del divano. «Bip. Ciao sono Marco, la data d’inaugurazione è confermata. Ci vediamo tra un mese qui da me». Un attimo di silenzio poi: «Bip. Non ci sono altri messaggi». Non c’era bisogno di richiamare, cancellò il messaggio e si diresse verso la cucina, un ampio locale con una grande vetrata che si apriva su una terrazza che dominava, da sopra le cime degli alberi, la baia sottostante. Al centro della baia poteva chiaramente distinguere la barca della donna skipper. Si girò verso la credenza e cercò il barattolo del caffè, lo appoggiò sul ripiano e si allungò a prendere la caffettiera. Si accorse in quel momento che stava tenendo d’occhio l’imbarcazione ormeggiata nella baia. Sorrise e pensò che, da quella parte dell’isola, non arrivavano spesso visitatori, al massimo qualche turista in cerca di una spiaggia tranquilla, ma mai nessuno che si fermasse oltre al pomeriggio. Il fatto che quella donna solitaria avesse scelto proprio la sua piccola e appartata baia lo incuriosiva.
Una volta pronto il caffè si riempì una bella tazza e si avviò, come d’abitudine, verso il suo studio al piano di sotto per passare la serata dipingendo. In quel momento ripensò al messaggio del gallerista e il pensiero della donna skipper passò in secondo piano. Mancava solo un mese all’inaugurazione della sua prima personale e aveva ancora parecchi quadri da finire.

Irene, immersa nella scrittura, non si accorse che il sole stava calando. Si rese conto di un tratto che faceva fatica a vedere le lettere sulla tastiera, smise di digitare e appoggiò la schiena sulla sacca dietro di sé. Era soddisfatta, aveva scritto per ore senza sosta. «Credo di aver trovato il posto perfetto per concentrarmi», pensò. Si sentiva un po’ come la principessa della sua favola, che lasciava la sua terra devastata dalla guerra per andare alla ricerca di un regno di pace. Lei aveva fatto la stessa cosa. Aveva lasciato dietro di sé un matrimonio arrivato ormai alle battute finali e i problemi quotidiani sul lavoro per cercare uno spazio tutto suo, il suo regno di pace. Se n’era andata senza dire niente. Nessuno sapeva dove lei avrebbe trascorso le vacanze, solo sua figlia era al corrente della sua fuga e la sosteneva, come aveva sempre fatto durante le brutte litigate con il padre. Aveva accettato la proposta di scrivere una favola per un importante editore con il quale era in contatto da anni e con il quale ci teneva particolarmente a collaborare, era molto contenta di questo nuovo progetto che avrebbe potuto portarle molte gratificazioni.
Respirò profondamente e l’aria fresca della sera le riempì i polmoni. Ebbe un leggero brivido e decise di scendere sottocoperta a mettersi indosso qualcosa di più pesante. Una volta di sotto si ricordò di non aver cenato, e decise di approfittare del bel chilo di cozze che le aveva regalato il suo amico pescatore alla partenza. Si rimboccò le maniche e si mise a pulirle nel piccolo lavandino assaporando già la gustosa cena. Una volta pronte le cozze, Irene stappò una bottiglia di vino bianco che aveva in fresco e brindò a se stessa e alla sua nuova favola. Stava proprio bene.
Salì sul ponte dopo cena con la tazza del caffè fumante in una mano e una sigaretta nell’altra ad ammirare il cielo stellato. Era una notte buia e senza luna, si potevano vedere perfettamente milioni di stelle, tutta la Via Lattea. Si guardò in torno e notò che l’isola era tutta buia, tranne una debole luce da dietro gli alberi in cima alla collina proprio di fronte a lei. Si stupì che ci fosse qualcuno. «Chissà chi ci abita, in un posto così isolato», si chiese. Cominciò a sentire la stanchezza della lunga giornata, ma la bellezza del paesaggio che la circondava le impediva di andare a dormire, non voleva privarsene. Decise allora di fumare un’ultima sigaretta prima di coricarsi. Si ritrovò a fissare la luce della casa oltre gli alberi, che a un tratto si spense. Restò ancora qualche attimo nel buio più completo, poi scese a coricarsi sotto coperta.

Frank spense le luci dello studio al pian terreno, come sempre aveva lavorato ininterrottamente tutta la serata e si era dimenticato di mangiare. Il suo stomaco stava proprio ricordandoglielo in quel preciso momento emettendo curiosi suoni. Salì nella cucina al primo piano e la prima cosa che fece fu di sbirciare fuori dalla grande vetrata per controllare se la barca fosse ancora ormeggiata al suo posto. C’era. Sentì come una sensazione di sollievo. «Curioso», pensò, «è come avere un vicino di casa». E rise da solo della sua battuta. Aprì il frigorifero e dopo avere osservato attentamente il suo contenuto, decise che un piatto di pollo con le verdure e riso Basmati era perfetto per festeggiare la sua prima mostra personale. Si mise ai fornelli con lo stesso impegno con cui di solito si mette davanti a una tela. Aveva sempre amato cucinare, e nei momenti di tensione o di molto lavoro, diventava un modo per rilassarsi. Tirò fuori dal cassetto il suo prezioso coltello da chef giapponese, compagno di tante cene quando ancora abitava in città, e con gesti sicuri cominciò ad affettare le verdure. Frittura veloce e leggera nel wok, all’orientale, un po’ di salsa di soia e la cena fu in tavola. Apparecchiò fuori in terrazza, lui amava mangiare lì con l’orizzonte a fargli compagnia. Si prese una birra gelata, la stappò e la versò nel bicchiere: «Salute», disse ad alta voce allungando il braccio verso la barca nella baia sottostante.

Irene aveva dormito di sasso per tutta la notte. Si svegliò con i primi raggi del sole, si stirò pigramente e si voltò a guardare l’orologio. Le 7.05. Pensò bene di restare a letto ancora un po’, prese il libro che stava leggendo dallo scaffale e lo aprì cercando la pagina dove aveva interrotto la lettura la sera prima. «Imparare a mettere il segno è troppo difficile per me», disse tra sé e sé, ridendo. Si mise a sedere sistemando per bene il cuscino dietro la schiena e s’immerse nella lettura per una buona mezz’ora. Cominciò a sentire la necessità di una gustosa colazione, aveva portato con sé la macchina per il caffè, un suo irrinunciabile vizio: una bella tazza di caffè americano, con latte e zucchero, prima di affrontare la giornata. «Senza dimenticare le fette biscottate», pensò mentre le tirava giù dallo scaffale. Si sentiva di ottimo umore, lo notava dalla quantità di burro e miele che si ritrovava a spalmare sulle fette biscottate, l’aria di mare le stava facendo un gran bene. Colazione sul piatto, caffè in mano, si trasferì nel suo angolo sul ponte a gustarsi la brezza mattutina.

Frank aveva l’abitudine di svegliarsi presto e di portare Samo a correre sulla spiaggia. Anche quella mattina, si alzò alle 6.30 si mise la tuta e s’incamminò per il bosco per raggiungere la spiaggia. La barca era sempre ancorata, ben salda, nel mezzo della sua baia. Dalla spiaggia riusciva intravvedere la sagoma della donna skipper sul ponte sorseggiare dalla sua tazza. Decise impulsivamente che era arrivato il momento delle presentazioni. Slegò la cima del suo canotto, lo spinse in acqua e cominciò ad avvicinarsi alla barca. Samo, tutto felice per il cambio di programma, lo seguì a nuoto.

Irene non si accorse dell’abbordaggio di Frank, era rapita dalla bellezza di quel paradiso, dove il suo istinto l’aveva fatta approdare. «Hey lassù, è profumo di caffè quello che sento?», urlo Frank, una volta che era a portata di voce. Irene si spaventò, e si alzò di scatto voltandosi verso il lato della barca da dove proveniva la voce. Non poteva vedere nessuno, perché il canotto era più in basso. Si avvicinò all’estremità della barca e guardò giù. Rimase a bocca aperta quando il suo sguardo si posò su Frank che stava tirando a bordo del canotto il cane. Non si aspettava certo di veder apparire un ragazzo così bello, dal nulla. Allora scoppiò a ridere. «Mi hai spaventata a morte!», urlò a sua volta.
Frank si voltò e i suoi occhi incontrarono il viso divertito di Irene che non riusciva a smettere di ridere. «È caffè, dicevi?», le richiese lui con un enorme sorriso. «Non avevo risposto ancora, sì è caffè», replicò lei, «Ne ho appena preparato una brocca piena, sali», aggiunse poi, allungandogli una cima dove poter legare il canotto. Lui afferrò la corda, in quel momento i loro sguardi s’incontrarono e Irene sentì un brivido scorrerle per tutta la schiena. Pensò, divertita, che lui fosse l’incarnazione del Principe Azzurro delle sue favole, tanto forte era il suo desiderio d’incontrarlo un giorno, che si era materializzato di fronte. Imbarazzata, distolse lo sguardo dagli occhi neri di Frank, e si voltò per cercare la scaletta corta per farlo salire a bordo.
Una volta salito, lui le allungo molto educatamente la mano: «Piacere, Frank», si presentò, «Irene», rispose semplicemente lei. Poi ci fu un attimo di silenzio, rotto da Frank che sorridendo chiese: «e … quella tazza di caffè?». Colta da un momento di timidezza Irene rise. «Ma certo, vieni», gli disse indicando la strada. E i due scesero sotto coperta. «È ancora caldo», aggiunse precedendolo nel cucinotto.
Irene versò il caffè nella tazza e gliela porse, in quel preciso momento le due mani si sfiorarono e Irene sentì gli stessi brividi, provati poco prima, salire per tutta la schiena. «Ben arrivata nel mio quartiere!», disse lui. Aveva un sorriso caldo e rassicurante e l’imbarazzo di Irene passò velocemente. Si sedettero al tavolo e cominciarono una piacevole conversazione. «Allora quella luce che vedevo ieri notte è casa tua?», chiese lei. «Sì», rispose lui, «ormai sono un paio d’anni che abito qui. Vado in città solo quando mi serve». «Ma non ti senti solo?». «A dire la verità, no. Sto bene. Ho bisogno di concentrazione quando lavoro», rispose sorseggiando il suo caffè, «e poi il paese non è molto distante, l’isola è piccola, casa mia sembra più isolata di quanto non lo sia in realtà». «È veramente un posto fantastico qui», disse semplicemente lei. Irene gli raccontò brevemente del suo lavoro e della sua passione per la scrittura, lui invece gli spiegò che era figlio di un’americana e un italiano, che era Cresciuto ad Atene e che prima di dedicarsi solamente alla pittura aveva lavorato in un’agenzia di pubblicità, ma dopo qualche anno quel mondo lo aveva stufato. Una grossa delusione d’amore, lo aveva poi spinto ad allontanarsi definitivamente dalla città. Non si era mai pentito della sua decisione, pensava di aver fatto la cosa giusta. Mentre parlavano, Samo gli scodinzolava intorno lanciando dolci occhiate e Frank spesso allungava la mano per accarezzarlo. Irene osservava con curiosità quel gesto affettuoso e le sembrava così pieno di dolcezza.
«Posso invitarti a cena stasera? Così ti mostro la casa», chiese a un certo punto Frank. «Certo», rispose subito lei, che in cuor suo non aspettava altro. Passarono ancora un po’ di tempo a parlare del più e del meno poi Frank decise di tornare sulla spiaggia con Samo. Si salutarono con un’educata stretta di mano e mentre lui saliva sul canotto Irene gli chiese: «Vuoi che cucini qualcosa io?». «Assolutamente no!», fu la sua risposta e agitando le braccia, prima di essere troppo lontano gridò «Alle sette, allora!».
Irene era confusa, mezz’ora prima si sentiva una Robinson Crusoe alla scoperta di un’isola deserta, ora aveva un appuntamento per cenare con uno degli uomini più belli che avesse mai incontrato. Era convinta di sognare; eppure il cuore le batteva forte al ricordo delle sue mani che la sfioravano mentre gli serviva il caffè, doveva essere tutto vero. «Sì, va bene Irene, adesso calmati, però!», disse ad alta voce come se stesse dando a se stessa un ordine da eseguire.
La giornata passò lentamente e per un po’ Irene riuscì a dimenticare l’appuntamento e si dedicò al suo libro. Lei, il suo computer e il rollio della barca.

Frank era ritornato a casa passando dal bosco; il cane gli trotterellava sempre intorno. Era contento del suo incontro. La donna skipper era diversa da come l’aveva immaginata, più semplice e più dolce. Non gli dispiaceva l’idea di averla invitata a casa sua, nella sua isola non aveva molte occasioni per organizzare una cena. Lui che era sempre un po’ impacciato con le donne, di fronte a Irene si era sentito a suo agio, non se lo aspettava. Decise di fare un salto in paese, e dopo una doccia partì in tutta velocità sullo scooter alla ricerca di qualcosa di speciale per la cena. Ci teneva a fare bella figura.

Irene era dispiaciuta di non aver nulla da indossare, era partita con l’idea che i pesci sarebbero stati i suoi unici compagni di viaggio e nella valigia aveva messo solo calzoncini corti e magliette. Improvvisò allora una gonna con un pareo arancione. Era la cosa più femminile che aveva trovato. Andava bene così, «Almeno è un colore che fa risaltare l’abbronzatura», considerò. Era nervosa come una quattordicenne al primo appuntamento.
«Forse la sua genuinità», pensava, mentre affondava i piedi nella sabbia della spiaggia. Passeggiava lentamente con le infradito in mano in attesa del suo cavaliere. Alle sette, puntualissimo, Frank sbucò dal bosco, «la semplicità in persona», ammirò Irene tra sé e sé, «sento che sarà una serata fantastica». Lui si avvicinò sorridendo e le diede un enorme bacio di saluto sulla guancia. Irene, un po’ a disagio gliene restituì uno anche lei lottando contro i brividi che le salivano la spina dorsale. Non si era mai sentita così attratta da un uomo appena incontrato; di solito le ci volevano giorni per uscire dal suo perenne stato d’insicurezza con gli uomini.

«Sei molto carina vestita da donna», le disse Frank ammirandola. Irene non capì se lui stesse prendendola dolcemente in giro. «Grazie, sai il primo straccetto che ho trovato», rispose allora lei ironica, calcando su una finta un’erre moscia; scoppiarono entrambi in una risata che, per fortuna, dissipò l’imbarazzo iniziale.
Cominciarono a salire per il sentiero che portava alla casa, alcuni pezzi erano piuttosto ripidi e Frank aiutò Irene a superarli tenendole le mani per sostenerla. Quando arrivarono in prossimità della casa, Irene si dovette fermare un attimo per prendere fiato e si guardò intorno. «Ma questo è un paradiso!», esclamò meravigliata da tanta bellezza, «Si vede la mia barca, guarda!», continuò indicando un punto attraverso gli alberi. «Sì, lo so», rispose lui, «è da lì che ti osservavo quando sei arrivata ieri», le disse poi, indicando uno spunzone di pietra poco oltre la casa, una grossa roccia bianca a picco sul mare. Quando entrarono in casa, furono accolti da Samo che faceva i salti acrobatici per salutarli. Irene pensò che il cane creasse una bella intimità. Frank aveva già apparecchiato per due sulla terrazza vista baia, ultimo tocco, accendere le candele. Stappò il vino e riempì due bicchieri, ne porse uno a Irene. «Alla nostra», brindarono. «È tutto così perfetto», disse Irene lasciandosi sfuggire un sospiro. «Già», affermò lui, «Probabilmente è tutto un sogno». «Bé, allora non svegliarmi!», comandò Irene sedendosi a tavola, «almeno, fin dopo cena!», aggiunse poi ridendo. «Sperando che alla signora piaccia il pesce …», disse Frank portando a tavola ogni ben di Dio. «Assolutamente il mio preferito», fu la risposta gioiosa di Irene che aveva deciso di mettere da parte la sua incredulità e cominciare a vivere la serata. La cena fu ottima e Irene non si sprecò in complimenti, finito di mangiare si alzarono e si affacciarono alla terrazza sul lato della baia.

L’aria della sera era frizzante, si era alzato un leggero vento. Il cielo stava lentamente prendendo un colore rossastro, il sole era già calato dietro la collina. Irene ebbe un fremito e Frank le mise il braccio intorno alle spalle «Senti freddo? Entriamo?», le chiese. «Sì, meglio», rispose lei, anche se in quel momento avrebbe voluto che l’abbraccio non finisse mai. Lui la precedette nel salotto e mise un po’ di musica, riempì di nuovo il bicchiere di Irene, che rifiutò «No basta, grazie. Penso di aver esagerato. Mi gira la testa». «Siediti», le disse lui indicandole il divano alle sue spalle. Lei seguì il suo consiglio e si sedette. Tolse le scarpe e tirò su le gambe, rannicchiandosi contro lo schienale. Frank prese il suo bicchiere e la raggiunse sul divano, le prese una mano tra le sue, «piccola e morbida», disse cominciando ad accarezzargliela. «A cosa stai pensando?», gli chiese Irene dopo qualche minuto di silenzio. «Che sto veramente bene qui con te», si voltò a guardarla negli occhi, «sei diversa dalle altre donne che ho conosciuto. E sei diversa da come m’immaginavo che fossi», aggiunse sorridendo. «Un rude marinaio?», gli domandò Irene ridendo. «Un po’ sì. Vieni, ti faccio vedere una cosa», e si alzò dal divano, sempre tenendola per mano. Lei lo seguì scalza fino al pian terreno, dove lui accese le luci del suo studio. «Qui è dove lavoro», e la invitò a entrare. «Meraviglioso!», esclamò lei mentre si guardava intorno e si lascava pervadere da un miscuglio di odori di vernici e solventi. Un grosso ambiente open-space, con un’enorme vetrata che si dava sulla foresta, pieno zeppo di tele e colori, tavoli, sculture. «Posso curiosare?», chiese lei. «Certo», rispose lui, «sto preparando una mostra per la fine di questo mese, sarà la mia prima personale». «Complimenti, i quadri sono bellissimi. Sarà un evento straordinario, la tua mostra!», affermò Irene con entusiasmo. «E tu dovrai esserci, per renderlo un evento indimenticabile», rimarcò Frank abbracciandola da dietro. La strinse a sé e la girò in modo da guardarla in viso. Irene sentiva il suo cuore battere forte per l’emozione di essere tra le sue braccia. Dal primo momento che lo aveva incontrato, non aveva pensato ad altro, e ogni volta che immaginava di abbracciarlo sentiva i brividi correre su e giù per la schiena. Era la prima volta che il contatto fisico con uomo le faceva questo effetto e ora si trovava a pochi centimetri dal suo viso.

«Ho dimenticato le fragole!», esclamò lui a un certo punto, scoppiando a ridere. Irene lo guardò seria per un attimo e poi non riuscì più a trattenere la risata, «imperdonabile!», gli rispose. I due tornarono al piano di sopra, Frank prese le fragole dal frigorifero le guarnì con della panna montata e ne porse una coppa a Irene. «Che cena sarebbe senza dessert?», disse lui sorridendo. Irene era contenta, Frank riusciva a farla sentire a suo agio; aveva quasi la sensazione di conoscerlo da molto tempo, invece erano solo poche ore. Poche ore che erano bastate per far nascere un’attrazione profonda.
«È buffo che tu abbia attraccato proprio qui», disse Frank, «è una piccola baia dove non viene mai nessuno». «L’ho scelta apposta», disse lei, «avevo bisogno di isolarmi dal mondo». «Allora io ti ho stravolto i piani!», le sussurrò lui nell’orecchio. «Direi di sì …», disse lei sottovoce ricambiandole il sorriso, «… ma va benissimo così!». «Dici sul serio?», chiese lui. «Perché, avevi dubbi?», rise Irene che pensava di essere sempre molto esplicita nel mostrare le sue emozioni. «No!», rispose lui, ridendo.
Irene lo fissava negli occhi senza riuscire a distogliere lo sguardo, Frank le prese le mani e fece il gesto di abbracciarla. Lei lo precedette e gli mise le braccia intorno alla vita. Non si dissero nulla e nel silenzio lui cominciò a baciarle il collo, salendo lentamente verso il viso, cercando le sue le sua labbra. Lei reclinò la testa leggermente all’indietro, assaporando ogni secondo di quei baci. Quando sentì il suo respiro vicino, chiuse gli occhi e lo baciò sulle labbra. Avvertiva le sue forti braccia che la stringevano, si sentiva la donna più fortunata sulla faccia della terra. «Ti voglio», mormorò lui. «Anch’io», rispose lei in un sospiro.

1 commento:

tiptop ha detto...

beh a Crusoe gli era andata peggio, aveva incontrato Venerdì!