mercoledì 7 ottobre 2009

Autostop all'alba

Pubblicato sul settimanale Vera n. 16 del 6 ottobre 2009

La vecchia Renault andava spedita per la provinciale macinando chilometri su chilometri. Il guidatore pigramente teneva il suo gomito fuori dal finestrino aperto, tamburellando sul volante con le lunghe dita affusolate il bel ritmo blues che stava ascoltando alla radio. Grandi occhi nocciola fissavano la strada da dietro un paio di Rayban, cercando di nascondere la stanchezza accumulata nel guidare tutta la notte. Lui odiava l’autostrada, preferiva perdersi per le strade secondarie. Lo faceva da sempre, anche da ragazzo quando andava in giro ad esplorare con la bicicletta, preferiva i campi alla strada.
Uno sbadiglio rilassò il suo mento forte, abbellito da un pizzetto nero corvino come i suoi capelli, legati in una lunga oda di cavallo. Marco doveva raggiungere Milano, era partito il giorno prima dal suo paese in Sicilia, dove aveva passato gli ultimi giorni di vacanza. Era un chitarrista blues e lo aspettavano quella domenica al Blue Note per un concerto insieme a Fabio Treves e la Treves Blues Band, con cui aveva già suonato parecchie volte. Lui se l’era presa con comodo ed era partito qualche giorno prima per gustarsi la strada come un’estensione delle vacanze. Non era la prima volta che attraversava l’Italia a quel modo e ogni volta notava qualcosa di diverso nell’aspetto di un borgo o di un paesaggio. Malgrado non fosse più un ragazzino, essere on the road per lui era sempre un’esperienza unica. Aveva passato ogni vacanza della sua vita con lo zaino in spalla a girare Europa e America, non poteva farne a meno. Con gli anni era diventato per lui un modo di essere e non solo un modo di viaggiare. Adorava la sensazione di libertà che gli dava e il contatto che riusciva ad avere con le persone che incontrava strada facendo. Amava la gente.
La vecchia auto era un casino, un po’ come la sua vita in quegli ultimi anni, essere musicista lo portava a viaggiare molto e non riusciva ad avere nulla di stabile che durasse nel tempo. Un grosso amplificatore Marshall adagiato sul sedile posteriore insieme alla sua amata chitarra, pile di giornali vecchi sul sedile del passeggero tenevano compagnia a buste vuote di fast food e bicchieri di Coca Cola e ad una serie di CD in ordine sparso. Non si era mai trovato a suo agio nei posti troppo ordinati.
La radio su cui si era sintonizzato cominciò a gracchiare, il segnale si riceveva a singhiozzo, allora Marco con la mano destra cominciò a frugare tra i resti musicali disseminati in giro. Trovò il CD Riding with the King di B. B. King e Eric Claplton e decise che sarebbe stata quella la sua colonna sonora. Lo infilò nello stereo e cominciò a seguirne il ritmo tamburellando la mano sulla coscia. Cantava: Don't you know we're riding with the king? Riding, you're riding with the king.
Dopo una curva, in lontananza intravide una longilinea sagoma di una ragazza che camminava sul ciglio della strada nella solitudine delle sei di mattina. I lunghi capelli biondi sventolavano al vento da sotto la bandana turchese, portava un piccolo zainetto, anch’esso turchese, sulle spalle e lo indossava quasi fosse un orsacchiotto di peluche. Sentendo una macchina avvicinarsi lei si voltò a mostrare il pollice per chiedere un passaggio. Marco l’osservò meglio, indossava un paio di jeans tagliati che le lasciavano libere le caviglie sottili e una camicetta di cotone bianco leggero a maniche lunghe.
Rallentò per accostarsi e chiederle dove andava «Ma è giovanissima», si disse stupito, quando le fu abbastanza vicino per vederla bene in viso. Nasino alla francese decorato da parecchie lentiggini e due grandi occhi verdi. Aprì il finestrino e le chiese: «Dove sei diretta?» «A Torino», rispose lei con una voce sottile che confermava la sua giovane età.
«Io vado a Milano, se ti può interessare, ti porto fino a lì». «Grazie, sì», disse lei avvicinandosi alla macchina. Fece quasi fatica ad aprire la portiera e Marco fu colpito di nuovo dalla sua giovane età «Non deve avere più di quindici o sedici anni», pensò mentre liberava il posto del passeggero da tutte le sue cianfrusaglie.
Lei si sedette appoggiando bene la schiena allo schienale, mise lo zainetto in terra tra le sue gambe e posò le sue mani sulle cosce in una posizione che mostrava tutto il suo imbarazzo. «Grazie», ripeté in un respiro.
«Mi fa piacere fare il viaggio in compagnia», disse Marco riprendendo la strada. Lei rimase in silenzio con gli occhi fissi fuori dal finestrino e lui si concentrò sulla guida.
Dopo un po’ Marco si accorse che la musica era finita, cercò un CD nel cruscotto. Tirò fuori un album di Ben Harper e lo porse alla ragazza «Puoi metterlo, per favore?» «Cosa?», chiese lei risvegliandosi dai suoi pensieri «Ti dispiace infilarlo nello stereo?», ripeté lui con un gran sorriso. «Ah, certo. Non avevo capito», rispose lei ricambiandogli il sorriso. «A proposito, non ci siamo nemmeno presentati. Io sono Marco», aggiunse lui. «Lory», disse lei dopo un attimo di esitazione.
Lei tirò fuori il CD dalla custodia senza nemmeno guardare di cosa si trattasse e lo infilò nella fessura. Rimase con la copertina in mano per un po’ senza sapere dove appoggiarla, Marco lo notò e gliela prese dalle mani mettendolo giù sul sedile posteriore. «Lo so, sono un casinista. Scusa», e rise. Anche Lory rise, ma non aggiunse altro. Rimasero ancora in silenzio, lui capì che lei era in imbarazzo e non forzò la conversazione «Il viaggio è lungo», rifletté. Dopo una mezz’ora Marco vide con la coda dell’occhio che lei stava seguendo il ritmo della musica con le gambe.
«Ti piace?», le chiese. «Sì», poi silenzio. Un’altra risposta monosillabica.
Lory trovò in terra una rivista musicale e cominciò a sfogliarla. Dalla velocità con cui girava le pagine sembrava che stesse solo guardando le fotografie. Finì la rivista in un attimo e poi riprese a guardare fuori dal finestrino.
Ad un certo punto Marco provò a fare un po’ di conversazione «Cosa ti porta a Torino?» «Tu!», rispose lei un po’ sarcastica. Marco scoppiò in una roboante risata «Che tipo che sei, ragazzina», le disse. «Non sono una ragazzina», ribatté lei fingendo di essere seria. Lui si accorse che lei finalmente si stava rilassando un po’. Lory dal canto suo era contenta che lui non si fosse offeso per la sua risposta un po’ secca.
Marco guardò l’orologio «È ora di farci una bella colazione, al prossimo paesino ci fermiamo». Lei annuì e poi tornò subito a guardare il paesaggio che cambiava velocemente. Sembrava preoccupata.
Marco avvistò un distributore «Mi fermo prima a fare benzina» e si avvicinò alle pompe. Quando scese dall’auto notò che Lory aveva preso il suo zaino da terra e lo abbracciava stretto sulla pancia mentre osservava in giro. «Chissà da cosa sta scappando?», si chiese tra sé e sé. Prese il secchio d’acqua e la spugna per pulire il parabrezza. Mentre lavava via la polvere e gli insetti dalla parte della ragazza, la fissava intensamente, le fece un cenno con la mano e cominciò a farle delle boccacce. Lei sorrise, quando improvvisamente gli tirò fuori la lingua scoppiando in una risata fragorosa. Lui si sentì meglio pensando che forse ora ci sarebbe stato meno imbarazzo.
Marco pagò e risalì in macchina, guardò Lory negli occhi e scoppiò anche lui a ridere. Ripartirono più leggeri. «Ora si va a mangiare», disse lui dirigendosi verso il centro abitato.
Posteggiò proprio davanti all’unico bar del paese, scese dalla macchina e s’incamminò verso l’entrata. Lory non si mosse, restò seduta abbracciando il suo zainetto turchese. Marco si accorse che lei non lo stava seguendo e ritornò indietro verso l’auto «Cosa fai? Non vieni?», le domandò mettendo la sua grande faccia appiccicata al finestrino e alzando gli occhiali da sole per marcare il fatto che stava parlando proprio con lei.
Lory esitò ancora un attimo poi lo seguì dentro al bar, sempre abbracciata al suo zainetto. Si sedettero ad un tavolino e prima di ordinare lei gli sussurrò sottovoce, piuttosto a disagio, «Io non posso pagare». «Lo avevo immaginato», rispose lui con un sorriso. «Non ti preoccupare, offro io».
Il gestore del bar si avvicinò al tavolo «Per me un cappuccino e una pasta alla crema», ordinò Marco «Bene, e per sua figlia?», chiese lui voltandosi senza sorridere verso Lory «Lo stesso», disse soltanto lei mentre incrociava lo sguardo di Marco che stava ridendo sotto i baffi. Rise anche lei. La preoccupazione sulla faccia di Lory scomparve completamente quando mise la pasta alla crema sotto i denti. Si rese conto che era affamata, e che non aveva mangiato nulla dalla mattina passata. Marco sorseggiò il suo cappuccino lentamente osservando Lory divorare la colazione. La vide stropicciarsi gli occhi con le sue piccole dita, bianche e affusolate. Aveva gli occhi lucidi e Marco si chiese se stesse piangendo. Era così giovane e carina, le faceva tenerezza. Rifletté sul fatto che lui, a quarant’anni, non aveva figli e non aveva mai pensato di farsi una famiglia. Fin da ragazzo aveva un solo sogno, la chitarra e nella sua vita non c’era stato posto per altro. Ora, viaggiare con una bambina lo inteneriva a tal punto dal chiedersi se avesse fatto bene. La vedeva così piccola e indifesa che sentiva quasi il desiderio di proteggerla. Non gli era mai successo di trovarsi in una situazione del genere. Frequentava molti ragazzi giovani per le lezioni di chitarra che lui impartiva, ma nessuno mai lo aveva toccato così in profondità.
Quella ragazza bionda e minuta che se andava in giro da sola per la provinciale alle cinque di mattina, pensando di evadere da qualcosa di misterioso, sprigionava un’aura speciale che lo aveva incantato.
«Sei un musicista?» chiese ad un certo punto Lory. Lui si stupì di questa apertura, dopo i lunghi silenzi che c’erano stati in macchina, non se l’aspettava. «Ho visto la chitarra», continuò lei. Marco le sorrise «Sì, infatti. Sono un chitarrista. Sto andando a Milano per un concerto». Dopo una breve pausa lui continuò «E tu?», approfittò dell’apparente disponibilità per chiedere notizie. Era curioso. «Vado dal mio ragazzo», rispose lei con una semplicità che sembrava po’ costruita a nascondere altro. Non disse più nulla. Lui si chiese allora se i suoi genitori sapessero che lei era partita, in autostop e senza soldi, per andare dal suo fidanzato, anzi si domandò anche se il suo fidanzato fosse a conoscenza del fatto che lei lo voleva raggiungere. Marco voleva saperne di più sulla sua storia. Finì il suo cappuccio e poi aggiunse: «Bello, il tuo fidanzato sarà contento di vederti. Deve essere difficile vivere così lontani l’uno dall’altro». Lei rimase in silenzio mentre il gestore ritirava le tazze del cappuccio dal tavolo e poi disse quasi sottovoce «Immagino di sì, lui non lo sa. Ma sarà contento». Marco rimase in silenzio per qualche minuto «È a Torino per lavoro?», lei non rispose. «Dico, il tuo fidanzato lavora lì?», ripeté lui allora.
«C’è andato perché ci siamo lasciati, ma so che sarà contento di vedermi», rispose allora lei. Marco ebbe l’impressione che lei cercasse di auto convincersi che stava facendo la cosa giusta. Decise di non insistere. Lory si alzò per andare in bagno, lasciò il prezioso zainetto sulla sedia. Lui lo interpretò come un segno di fiducia, ne era contento.
Lo raccolse, se lo mise in spalla e andò a pagare. Lory ritornò dal bagno e prese lo zaino dalla spalla di Marco con un gesto tutto naturale. «Grazie», disse solo con la sua giovane voce. «Grazie a te, ragazzina» disse lui. Questa volta lei non protestò. Il ghiaccio era rotto. «È ora di rimetterci in cammino, su, andiamo». Ritornarono insieme alla macchina e ripresero il viaggio.
Marco aprì il cruscotto e le mostrò la sua collezione di CD «Ti occupi tu della musica, ok?» «Perfetto», e Lory contenta si mise a rovistare tra i molti titoli. Trovò un album di Chet Baker e lo mise su, tutta soddisfatta della scoperta, quasi come se avesse trovato una pepita d’oro. Marco cominciò a battere il tempo sul volante e a canticchiare sottovoce. Lei tornò silenziosa per qualche minuto, poi ad un tratto domandò: «Se tu avessi 18 anni e avessi messo incinta la tua fidanzata, avresti paura?». Lui, stupito per la domanda improvvisa, smise di colpo di tenere il tempo «Ecco di cosa si tratta», pensò e le rispose «Penso proprio di sì, e molto anche» «Sai, il mio ragazzo aveva paura, ma cercava di nasconderlo», fece una pausa e poi continuò «Si è arrabbiato con me come fosse stata colpa mia e poi è partito, a Torino abita il suo migliore amico».
«È sicuramente una situazione difficile per tutti e due», cercò di rassicurala Marco. «Una nuova vita è una grossa responsabilità», proseguì lui. «È normale che lui abbia avuto paura». Lei non parlò più per una buona mezz’ora, si vedeva che aveva il magone e che cercava di trattenere le lacrime. Non voleva che Marco la vedesse piangere e provava a nascondere il viso girandosi verso il finestrino. Lui non insistette, intuiva la sua pena, aspettò che fosse lei a continuare. Quando finalmente lei parlò, non riuscì più a trattenere le lacrime e scoppiò a piangere «Lo devo assolutamente trovare, non posso farcela da sola», disse tra i singhiozzi. Si asciugò subito le guance con le mani e cercò di riprendersi. Marco avrebbe voluto stringerla e dirle che tutto si sarebbe aggiustato, ma aveva paura di metterla in imbarazzo. La sua fragilità lo colpiva profondamente, ma anche il suo coraggio di prendere e andarsene di casa così da sola, alla ricerca di una soluzione.
Mentre teneva fissi gli occhi sulla strada pensava a che tipo di famiglia potesse essere la famiglia di Lory. I suoi genitori che tipi erano? Si chiedeva se lei gli avesse detto qualcosa o li avesse tenuti all’oscuro, come credeva più probabile visto l’angoscia che Lory sembrava provare. Non sapeva bene cosa dire in quella situazione, si sentiva in imbarazzo anche lui. «Come vi siete conosciuti?», chiese poi lui pensando che forse era meglio prenderla alla larga. «A una festa, sai com’è», sospirò lei. «Ci siamo piaciuti subito, le mie amiche dicevano che era veramente carino. Poi …», fece una pausa e anche Marco restò in silenzio, voleva che fosse lei a parlare, non pensava fosse giusto forzarla. «poi, è successo», concluse infine lei. Aveva smesso di piangere. «Ho paura», aggiunse dopo un po’.
«Hai tutte le ragioni di essere spaventata». Marco le sorrise e riuscì a strappare un debole sorriso anche a lei. «Ma sei sicura che andare a cercare un ragazzo che se n’è andato quando ha saputo che eri incinta sia la cosa giusta da fare?», andò al sodo. «Non ho scelta», disse lei con una fermezza che non sembrava figlia della sua età.
Marco preferì non esagerare, in fondo non era suo padre, non era certo lui che doveva dirle cosa avrebbe dovuto fare anche se era tentato di farlo. Lui era solo uno sconosciuto in cui lei si era imbattuta qualche ora prima.
Lasciò che Lory si tranquillizzasse guardando il panorama dell’Appennino, ora la strada stava salendo. Cambiò discorso e per un po’ parlarono di musica e di concerti come se non avessero mai parlato d’altro.
Marco continuò a guidare fino all’ora di pranzo. «fame?», le domandò ad un tratto. «Sì», rispose lei. «Ma sono sempre senza soldi, come prima» «Lo so, ma non posso mica farti morire di inedia, no?», disse lui ridendo. «Tra un po’ ci fermiamo».
Lasciarono passare un paio di piccoli paesini e poi si fermarono in un centro abitato che sembrava un po’ più accogliente. Posteggiarono l’auto nella piazza centrale e scesero a cercare un posto dove pranzare. Trovarono una bella pizzeria in una stradina secondaria. Erano gli unici clienti. Si accomodarono in un tavolo verso il fondo del locale. Lory si allontanò per andare in bagno mentre Marco ordinava due pizze con le verdure grigliate. Lei ritornò al tavolo senza bandana e con i bei capelli biondi raccolti in una coda di cavallo «Sembra ancora più bambina, pettinata così», pensò lui guardandola mentre si avvicinava. Lei si sedette: «Grazie». Marco pensò che fosse particolarmente tenera nella sua ingenuità adolescenziale, aveva voglia di accarezzarle la guancia, ma preferì non farlo. Per un attimo gli sfiorò il pensiero che forse aveva fatto male a non voler avere figli.
Arrivarono le pizze. «Ma i tuoi genitori?», le chiese Marco «Non sanno nulla», rispose lei «Mi ammazzerebbero se solo immaginassero», aggiunse. «Saranno in pensiero, non credi?», continuò Marco esternando una preoccupazione reale. «Già», disse solamente lei e restò in silenzio. «Non posso tornare a casa». «Perché no? Forse non hai abbastanza fiducia nei tuoi genitori. Sono sicuro che capirebbero». «Credi?», domandò Lory che si sentiva abbastanza confusa. «Io penso di sì, in fondo ti hanno cresciuta. Ti vogliono bene», lui fece una pausa per cercare di capire cosa le stesse passando per la testa e poi continuò «Io proverei a telefonare, se fossi in te». Lory non rispose. Aveva lasciato tutte le croste della pizza in fila sul bordo del piatto e cominciò a rosicchiarle nervosamente una per una. Marco capì che quello era il momento buono per insistere «Sei stata così coraggiosa ad arrivare fino a qui da sola, sono sicuro che ce la puoi fare. Una telefonata e vedi come reagiscono». Sorrise teneramente per addolcire quello che stava per dire. «Se il tuo ragazzo è scappato a Torino, non credo voglia essere raggiunto».
Lory abbassò gli occhi. «Forse hai ragione», sospirò. Marco estrasse dalla tasca il suo cellulare e glielo posò gentilmente di fronte. «Solo se te la senti», le fece cenno con la mano di prenderlo. «Andrà tutto bene, vedrai.», disse per rassicurarla.
«Ci devo pensare», affermò lei fissando il telefono. Marco pensò di lasciarla sola per un attimo e si alzò per andare in bagno. Quando ritornò dalla toilette la vedeva di spalle. Mentre avanzava notò che stava parlando e allora rallentò il passo.
«Sì, Papà», la sentì dire «Sto bene, sono vicino a Roma». Fece una pausa per ascoltare «Ho fatto l’autostop. Sono stata fortunata». Altra pausa «È una brava persona, mi ha detto lui di chiamarti». Marco si sedette al tavolo e rivolse a Lory un sorriso di sostegno, lei continuò «Ascolta papà, ti devo dire una cosa … sono incinta». Lory lo sparò fuori come una fucilata mentre guardava Marco negli occhi come per cercare un appoggio. Lui le prese la mano e gliela strinse forte, facendole l’occhiolino. «Sì, papà. Lo so. Ero scappata per cercarlo, ma ora ho capito che voglio tornare a casa». Lei ascoltò cosa le stava dicendo il padre per qualche minuto poi rivolse il telefono verso Marco e disse: «Mio papà ti vuole parlare». Lui, colto alla sprovvista, esitò un attimo, ma poi pensò che era la cosa giusta da fare. «Pronto?» «La devo ringraziare per quello che ha fatto per Cristina», disse la voce di un uomo con un leggero accento Palermitano. Marco si stupì quando sentì il padre chiamare Lory con il suo vero nome, aveva intuito che ne avesse usato uno falso e pensò che comunque per lui sarebbe sempre stata Lory. «Non ho fatto nulla, mi era solo parso che sua figlia fosse un po’ confusa» «Le chiedo un ultimo favore, se la cosa non la porta fuori strada», domandò timidamente il padre di Cristina «Io pensavo di far trovare un biglietto aereo all’aeroporto di Campino, in modo che possa tornare a casa». Marco rispose senza esitazione «Non c’è alcun problema, l’accompagno con piacere».
Finita la conversazione Marco pagò il pranzo e si avviarono verso l’automobile. «Non potrò mai dimenticare quello che hai fatto per me», disse Cristina mentre imboccavano la strada per l’aeroporto. «Io non ho fatto nulla. Hai deciso tutto da sola», replicò lui «È stato solo un caso che tu abbia incontrato me». «Già», disse lei facendogli l’occhiolino «Un caso», e finalmente sollevata rise di cuore.
Arrivarono all’aeroporto e passarono al check in a ritirare il biglietto. Marco la volle accompagnare fino all’imbarco, con un velo di malinconia l’abbracciò stretta. «Abbi cura di te, ragazzina». Lei lo baciò teneramente sulla guancia e si avviò verso l’uscita. Si girò un’ultima volta a salutarlo prima di varcare la soglia. Marco pensò che fosse stato il più dolce incontro della sua vita.

1 commento:

Anonimo ha detto...

nella sua semplicità... commovente!