domenica 25 maggio 2008

Disgusto

Quando infilo le gambe sotto le lenzuola e avverto la sua presenza provo disgusto, una violenta repulsione per quello stesso corpo che anni fa m’inondava di una forte passione. Com’è possibile provare una sensazione così diversa adesso, per la stessa persona di allora.
Forse non è più la stessa persona.
O forse non lo sono più io.
Ogni notte vado a letto con lo stesso pensiero ed ogni mattina mi alzo facendo finta di non averlo pensato. Tento con tutte le mie forze di convincermi che è solo un momento, che passerà e che potrò fare finta che non sia mai esistito.
Invece, apro gli occhi e lo trovo ancora lì, come sempre invadente ed intenso.
La luce del sole mattutino si fa strada tra le fessure della tapparella semi aperta. Mi giro dall’altra parte per non vederla. Non sopporto essere svegliata dalla luce e sembra quasi che sia mia intenzione infliggermi una punizione dimenticandomi di prendermi cura dei dettagli.
Mi chiedo che ora sia, non sento rumori. Presto.
Lascio che il mio corpo rimanga immerso nel torpore e allontano dalla mia mente il pensiero di alzarmi. Allungo un piede e mi rendo conto di essere sola nel letto. Ciò m’infonde un senso di benessere. Mi spalmo per tutta la larghezza del letto affondando di nuovo in un sonno profondo.
L’odore di caffé viene a stuzzicare le mie narici nell’inutile tentativo di farmi alzare dal letto. Penso all’opportunità di gustarmi ancora qualche attimo di pace, o magari qualcosa di più. Faccio scivolare lentamente una mano verso le cosce e l’altra sul seno; mentre chiudo gli occhi ed entro nel mio mondo privato, il vociare lontano e i profumi passano in secondo piano per un piacevole quarto d’ora. Un sospiro.
È sabato, è una bellissima giornata, non posso far altro che indossare il mio sorriso migliore, mentre mi verso una bella tazza colma di caffé. Lui è seduto di fronte a me. Lo osservo, attraverso le risa dei nostri figli, in quegli attimi che gli servono per finire di sorseggiare il suo caffé. Per evitare commenti gioco d’anticipo e sorrido. Se solo riuscissi ad evitare il confronto, potrò mai colmare la voragine, che si è aperta tra noi, trovando anche solo un equilibrio? Una supposta convivenza all’insegna della “civiltà”.
Crisi, dal greco krisis: scelta, decisone, cambiamento nella vita di un individuo o della collettività, con effetti più o meno gravi o duraturi. Una collana di krisis intorno al collo.
La mia vita è sempre stata incorniciata da sentimenti forti, ma mi angoscio ora nello scoprirmi fredda ad emozioni semplici, senza riuscire a fare nulla. Rassegnazione, frustrazione o soltanto noia. Stanchezza per scelte forzate, uno strascicare i piedi nella terra polverosa. Difesa inconscia o pigrizia?

E poi inevitabilmente un giorno il disgusto passa, come passano i treni sotto la nostra finestra, sapendo che tanto tornerà. Con il destino di rimanere sempre qui immobilizzati in un circolo mortale e so che non è così che deve essere.
Soffro, sola nella mia disperazione di dover prima o poi prendere delle decisioni che sento più grandi di me. Destino non delegabile. Sono alla continua ricerca della causa, possibile che non sia io? Ho letto cose difficili da digerire, il senso di colpa mi ha ormai consumato. L’attesa che tutto si sistemi da solo è terminata; sono alla fine di un viaggio, un brutto viaggio. Ma quello che intravedo davanti a me non mi fa sorridere. Svilita nella mia interiorità, a cosa diavolo mi aggrappo ancora? Ho la responsabilità morale di uscirne, forse non a testa alta, ma almeno di uscirne. Per me e per loro, soprattutto per loro. Ho paura. Questa consapevolezza mi pesa come un macigno, mi manca il respiro eppure devo resistere e andare avanti. Io sono quella da salvare, ma è difficile crederlo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi è sembrata la fotocopia esatta della mia situazione....!!!!
Avrei usato le stesse parole per descriverla.
Oggi questo blog che ho scoperto per caso è davvero sorprendente.
Tornerò a trovarti, e parlerò di me.
Ora devo scappare alle faccende domestiche!
A presto!