sabato 2 aprile 2011

rollio


È quel rollio che mi riporta indietro nel tempo; è quel dondolare sospinto dall’onda a darmi la nausea mentre chiudo gli occhi e lascio che sia il mio corpo a lasciarsi andare. Mi accascio e resto immobile.

Non era così che doveva essere. Penso. Mi avevano detto di non aver paura, di andare e uscire allo scoperto. Che era arrivato il momento giusto, ero pronta.

Invece tremo. Non riesco a muovermi e mi copro il viso con le mani. Le sento pulsare le ferite ancora aperte, il sangue scorrere sotto la pelle.

Avverto i passi del predatore che fiuta l’odore del mio sangue. Rosso cupo e denso. Si aggira poco lontano. Sa che ci sono e aspetta solo il momento di agire.

Mi stupisco di essere ancora viva. Vorrei potermene andare adesso, prima che si avvicini troppo, ma non ho la forza di tirarmi in piedi.

La vedo la strada, una strada alberata che corre dritta innanzi a me, di ghiaia bianca.

La strada da prendere. Non ci sono sponde a cui appoggiarmi e allora resto lì, aggrappata alle mie ginocchia.

Provo un dolore così profondo che incatena ogni mio pensiero a terra e io, incapace di prendere il volo, trattengo il respiro per non esistere e allontanare lo sciacallo. Non sono ancora morta.

Come l’eroe sulla via del ritorno, consapevole delle prove che lo aspettano, ma incapace di armarsi contro i nemici. Solo, in una lotta in cui nessuno lo può aiutare, nemmeno gli Dei, sa che prima o poi dovrà andare in guerra perché quello è il suo destino. Ed è anche il mio.

Intanto la testa continua a girare, la luce bianca che filtra dalle fessure mi confonde.

Vorrei che qualcuno mi venisse a prendere e mi portasse via. Magari in braccio. Vorrei concedermi una tregua, curarmi le ferite, vorrei poter guardare avanti senza abbassare lo sguardo. Vorrei essere un gatto che cade sempre in piedi.

Vorrei. Ma non oso.

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