sabato 19 giugno 2010

senza senso (undicesima puntata)


NATHALIE

L’ansia ti cinge il capo come un’aureola. La testa ti duole così come il ventre, pensi di non potercela fare ad addormentarti stanotte. Gli eventi degli ultimi mesi stanno rivoltando molte delle tue certezze come fossero zolle di un campo da arare, quelle certezze che fino ad ora hai usato come stampelle a supporto del tuo spirito malandato. L’arrivo di tua sorella in città rischia di incrinare il sostegno che così intelligentemente hai adoperato per puntellare il muro divisorio tra il tuo mondo interiore e gli altri, in modo che non cedesse. Già indebolito dalla svolta improvvisa della storia con Bertrand temi che non possa reggere il colpo. Hai paura di ritrovarti scoperta, senza difese.

Te ne eri andata da casa con l’idea di non tornare più, di non rivedere più la tua famiglia. Tuo padre invece, con la sua morte, è riuscito a farti tornare e a ferirti un’ultima volta.
Hai pensato di poter fare la tua apparizione al funerale e poi andartene come eri venuta, ma non hai tenuto conto della reazione a catena che avresti causato. Non hai pensato al desiderio di sapere che avresti scatenato in tua madre e tua sorella, la voglia di conoscere il motivo di quella fuga che ti ha portato lontano. Non una lettera, non una telefonata in venti anni.
Se non fosse stato per l’incontro casuale con Marcel, tuo vecchio compagno di scuola, non avresti nemmeno saputo di tuo padre.

E di colpo quei venti anni ti pesano addosso come non era mai successo prima. Entrano prepotenti nella tua vita come se non li avessi mai vissuti prima. Come se tu avessi passato venti anni in apnea.
Ti ritrovi a boccheggiare senza fiato e questo bisogno improvviso di ossigeno ti fa girare la testa. La sensazione dell’aria che ti riempie i polmoni ti confonde, entra con forza dalla bocca e ti gonfia il petto quasi fino a farti scoppiare. E nel delirio notturno immagini milioni di bollicine di ossigeno che fluiscono nel sangue dai capillari, le senti lasciare gli alveoli e riempire le arterie provocandoti un formicolio in tutto il corpo. Nelle vene una cascata di acqua minerale.

Hai sete, ma non ti vuoi alzare. Ti rigiri nel letto senza essere in grado di prendere sonno. Il caldo rende le lenzuola molli e scivolose. Continui a cambiare posizione per cercare un punto nella superficie intorno a te che sia ancora fresco, ma il sudore ha reso umido perfino il materasso.
Cerchi di scacciare dalla mente l’immagine di tua sorella che ti saluta alla fermata dell’autobus, la mattina che hai deciso di andartene. La sua espressione grave a sottolineare la solennità di quel momento come se dentro di lei già sapesse che sarebbe stato un saluto definitivo.
«Chiama quando arrivi», ti ha detto lei mentre agitava la mano dal finestrino dell’auto per salutarti, convinta che il tuo viaggio si fermasse a Parigi. Senza immaginare che nella tasca esterna della grossa borsa rossa che tieni a tracolla hai un biglietto aereo di sola andata per New York.
E tu, con un debole cenno della testa, le mentisci, le rispondi di sì. Lasci che sia il tuo corpo a mentire per te, perché ti manca il coraggio di dichiarare il falso ad alta voce. Annuisci semplicemente, già sapendo che non avresti mai più chiamato.

Ora a distanza di tempo lotti con una sensazione di asfissia e non sei sicura che sia per il rimorso di essere scappata o per il caldo torrido che non da pace da giorni.

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