domenica 31 gennaio 2010

senza senso (seconda puntata)



puntata precedente


NATHALIE

Decidi di scendere per le scale, correndo, vuoi solo andartene in fretta. Sgusciare fuori dalla perversione di quella relazione, che ti ha costretta in una morsa da lasciarti senza fiato. Intrappolata laddove una scelta non sembra permessa. Una relazione al gusto di Cognac e di Gauloise, confezionata su misura, con un tanfo che ti s’incolla addosso e non va più via. Quello stesso tanfo che ti porti dietro da quando eri bambina, che neanche a grattare sotto la doccia con un abrasivo riesci a mandare via.

Le mani di tuo padre, le dita gialle di nicotina. Di campagna, mani così grosse, che accoglievano l’intero tuo viso dentro a un palmo. Le senti ancora ruvide sulle tue guance come se fosse ieri, perché il ricordo si annida negli interstizi della memoria, armato, pronto all’attacco. E tu da sempre provi a fuggirlo quel ricordo. Perché ti fa male. Quel ricordo in particolare, non un altro, ma quello, che penetra dalle mucose del naso e si conficca nell’anima a mo’ di stiletto, ti fa un male cane. «Nathalie, vieni qui», ti diceva lui tornando a casa la sera, «siediti sulle mie ginocchia», e mentre ti avvicinavi sorridendo l’odore acre della sua giacca copriva quello della lavanda dei tuoi vestiti.

Ora, tornando a casa di corsa, intrisa del sudore di una notte di sesso fatto male, ti domandi se vuoi chiudere fuori dalla tua vita lui o il ricordo di tuo padre. Le dita ti tremano mentre cerchi le chiavi nella borsa. Le trovi e le afferri, ma ti cadono a terra. Ti sei dimenticata di mangiare e ora il tuo corpo te lo fa notare. «Sporca, puzzolente e affamata, il modo migliore per ricominciare», pensi e sorridi da sola.


BERTRAND

La guardi andarsene. La continui a guardare anche quando non c’è più, attraverso la porta chiusa. La guardi scendere le scale e vedi il suo culo senza mutande che si muove nei jeans attillati, incuneati nella fessura della sua fica, con la cucitura che sfrega avanti e indietro ad ogni passo. Non riesci a immaginare di non poterla più toccare, la sua fica, di non poter più avere accesso a quella delizia.

Trovi gli slip abbandonati nel letto. Provi ad anestetizzare la sofferenza con il suo profumo, respirando forte, ma la rabbia prende il sopravvento. Ti alzi di scatto e afferri le forbici da dentro il cassetto, ne infili una lama in un’apertura delle mutande e dai un taglio netto. Poi un altro e un altro ancora. Sfoghi tutto il rancore della tua perdita su quel misero pezzo di stoffa bianca, perché tu sai che lei non tornerà più. Urli a pieni polmoni versi senza senso come fossi un uomo delle caverne alle prese con un orso, mentre sei solo un miserabile perdente che lotta contro se stesso.

La testa ti duole quasi quanto il cuore. E ora, dopo tutti quei versi, ti fa male anche la gola. Ti butti di nuovo sul letto, tra le reliquie tagliuzzate di ciò che resta di lei, a crogiolarti nel suo odore. Ti avvicini la fedele bottiglia di Hennessy al petto. La apri con i denti e trangugi un lungo sorso, a canna come solo la tua parte peggiore sa fare. La svuoti tutta in quel tragico gesto, la bottiglia. Poi come se facesse parte dello stesso movimento armonico, con un moto di stizza animale, la lanci con forza contro lo specchio e lasci che il fragore di vetri infranti ti desti dalla tua illusione adolescenziale. Ora stai piangendo.


....

(to be continued)

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